martedì 30 dicembre 2014

Tasse, Comune sposta la sede legale a 860 metri di altezza per non pagare l’Imu agricola. E San Giorgio La Montagna...che fa? Niente, of course!

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Se un Comune come Fivizzano, 8.100 abitanti sparsi in 94 piccole frazioni disseminate sulle Alpi Apuane lunigianesi in provincia di Massa Carrara, deve allo Stato 116 mila euro di Imu agricola, può capitare che il primo cittadino senta il dovere di correre ai ripari con un rimedio d'emergenza: spostare la sede legale del Comune qualche centinaia di metro più in alto per ottenere l'esenzione della tassa.
L'atto politico è già pronto, appena approvato dal consiglio comunale di Fivizzano, composto da 12 persone in tutto compresa la Lega Nord anche oggi all'opposizione, e dà mandato al sindaco Pd Paolo Grassi di spostare la sede legale a Sassalbo, frazione montana del medesimo comune, a 860 metri d'altitudine: quella che serve per superare il limite imposto dal Governo, 600 metri d'altezza, sotto i quali tutti i comuni devono pagare necessariamente l'Imu per i terreni agricoli.
Fivizzano, in effetti, è adagiata su un pendio che sta a circa 326 metri d'altezza, ma amministra, in realtà, frazioni che si innalzano anche a 1.000 e 1.500 metri. Un comune montano a tutti gli effetti, dunque, che vive di agricoltura, pastorizia e turismo eno-gastronomico, già noto per aver dato i natali a diversi uomini politici, primo fra tutti all'ex coordinatore Pdl, Sandro Bondi, che ne fu sindaco comunista per dal 1990 al 1992, e per essere stato duramente colpito dal terremoto del giugno 2013. "Per un comune come il nostro - ha detto il sindaco Paolo Grassi - 116 mila euro sono un furto, un prelievo forzoso che non possiamo permetterci".
Nei mesi passati, Grassi aveva provato a chiedere solidarietà al premier Matteo Renzi, scrivendogli una lettera "indirizzata al suo buon senso" e sperando nel feeling tra uomini dello stesso partito, senza però ottenere risposta e così ha pensato di fare da solo, proponendo il cambio della sede legale del comune. All'inizio una provocazione, oggi realtà. Il consiglio comunale ha approvato l'idea ed è partito l'iter per la modifica dello statuto, che porterà alla conclusione dell'atto entro i primi sei mesi del 2015. "Mai più pagare 116 mila euro di una tassa ingiusta e iniqua - ha commentato il primo cittadino - ; è l'ultimo anno, spero, che dovrò alzare le tasse per i miei compaesani".

venerdì 26 dicembre 2014

Il Tar Lazio blocca l’Imu sui terreni agricoli

Accolto il ricorso presentato dall’associazione Comuni (An­ci) della Liguria, dell’Umbria, del Veneto e dell’Abruzzo contro il decreto

Articolo di Ottopagine del 26 dicembre 2014
 – E’ ancora presto per parlare di pericolo scampato, ma da ieri l’Imu sui terreni agricoli è meno probabile. Il Tar La­zio ha accolto il ricorso presentato dall’associazione Comuni (An­ci) della Liguria, dell’Umbria, del Veneto e dell’Abruzzo contro il decreto interministeriale del 28 novembre che prevede l’assoggettamento a tassazione di tutti i centri ubicati ad altitudine inferiore ai 601 metri. Provvedimento che ha sollevato furenti polemiche nei con­fronti del Governo anche a causa dei criteri adottati per la scelta dei comuni da tassare. 
Determinante è infatti la collocazione del municipio, spesso posto a valle rispetto alla gran parte dei terreni. 
E proprio questa è stata tra le ragioni che hanno spinto il Tar centrale ad accogliere la richiesta di sospensiva del decreto. Il provvedimento se­condo il tribunale amministrativo «determina eccezionale e grave pregiudizio de­rivante dalla assoluta incertezza dei criteri applicativi, con particolare ri­guardo a quello dell’altitudine, ben potendo essere assoggettato a imposizione un terreno posto a più di 600 me­tri in agro di comune collocato notevolmente al di sotto di tale altezza». 
Il Tar ha inoltre eccepito irregolarità nel meccanismo compensativo studiato dal Governo per incamerare le risorse sottraendole da subito ai Comuni. 
La camera di consiglio per la discussione nel merito si terrà il 21 gennaio.

giovedì 25 dicembre 2014

Questione tigli. Anche ITALIA NOSTRA si schiera dalla nostra parte.A conferma che l'amministrazione Ricci ha segnato un clamoroso autogoal !

Mattanza di tigli storici e mattanza di…democrazia e partecipazione

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa del Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia di San Giorgio del Sannio (BN)
Mattanza di tigli storici e mattanza di…democrazia e partecipazione! Faremo causa per danno biologico al patrimonio verde!
Vorrei segnalare che la Soprintendenza di Bergamo, in collaborazione con il CFS, ha avviato laprima causa milionaria per danno biologico al patrimonio verde (nel caso di specie, privato. Qualora esso sia pubblico e cioè un bene comune di tutti, ciò costituirebbe un’aggravante di non poco conto!)
Il fatto:Cinquecento (500) tigli e ippocastani secolari del santuario ottocentesco di Caravaggio, distrutti questo inverno dall’ignoranza di un gruppo di pensionati incaricati delle potature, sono sottoposti ora ad una perizia individuale per la determinazione del danno biologico subito.
Gli esemplari, dell’età di 90-120 anni e dell’altezza di 20-25 m, sono ora ridotti a monconi alti 5-6m.
A prima vista il danno biologico varia da 2500 a 3500 euro/albero per un totale complessivo di circa 1,5 milioni di euro…non si sa a carico di chi:
  • a carico del Santuario per negligenza nella custodia di verde sotto vincolo monumentale,
  • a carico dei sei pensionati per lesioni dolose e colpose,
  • a carico del Comune per inosservanza nei doveri di vigilanza.
I 6 pensionati, dopo qualche giorno di bestemmie in dialetto bergamasco, sono ora in ritiro spirituale nel santuario e bevono acqua santa dalla mattina alla sera.
La mattanza di tigli storici a San Giorgio del Sannio
E’ rimasta finora impunita, circondata da una coltre di punti interrogativi cui l’Ente si sottrae dal rispondere, e, – cosa più grave e aberrante – ha avuto dei risvolti giudiziari in danno di chi ha sporto formale denuncia di quanto commesso dall’amministrazione.
Ma noi non demorderemo!
Il danno biologico ai tigli secolari di Via dei Sanniti e di Viale Spinelli è appunto  quanto il Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia richiederà al Sindaco Ricci ed al Comune di San Giorgio del Sannio!
E non finisce qui.
Perchè l’ente comunale dopo la mattanza dei tigli voluti da Napoleone Bonaparte e non segnalati e protetti dall’Ente come storici e monumentali (legge n.10/2013) ha pensato, ancora una volta malissimo, di abbattere addirittura gli alberi del Palazzetto dello Sport!E intanto la Procura beneventana indaga su chi denuncia!
Ma non è legittimo chiedersi quali siano le motivazioni che hanno spinto a tale scempio con costi diretti a carico della comunità e che fine abbia fatto la legna? Chi se ne è appropriato? O a chi è stata assegnata e in base a quali criteri?
Una cosa è certa: le lamentele “querulanti” del sindaco che fa un abuso strumentale della denuncia per diffamazione (tutta da dimostrare!)  per imbavagliare il dissenso e le più che legittime critiche alle scelte perverse dell’amministrazione (così come l’indignazione e i mugugni dei cittadini…) non servono.
Esiste una procedura tecnica per la determinazione del danno biologico. E la si applica negli incidenti come pure nelle lesioni volontarie su uomo, animali e alberi!
Non a caso, come comitato civico,nella scorsa tarda primavera e cioè nell’immediatezza dei fatti criminosi, abbiamo fatto denuncia anche a mezzo stampa (dato l’interesse e la rilevanza pubblica) al Corpo Forestale dello Stato e direttamente alla Procura (inviando alle autorità competenti un corposo e orripilante dossier fotografico).
Purtroppo, nella nostra ristretta realtà provincialotta e limitante, la Forestale non ha espletato -per quanto ci risulta – le indagini richieste non ravvisando nessuna violazione di legge (sic!), mentre la Procura di Benevento, attraverso l’opera diretta dell’esimio procuratore capo dott. Giuseppe Maddalena, non ha trovato nulla di meglio da fare che  sottoporre la denunciante (la coordinatrice del comitato, denunciante e scrivente in nome e per conto di tale associazione spontanea di cittadini) a ben 9 mesi di indagine per aver leso la reputazione del sindaco Ricci…. (SIC!).
Incredibile, ma VERO!
In conclusione, vorrei riportare quanto risponderebbe al sindaco Ricci, senza troppi peli sulla lingua, Ermanno Casasco, professionista di fama internazionale e autore del libro Giardiniere errante:
«A New York nevica più che a Milano, ma agli alberi di Central Park o al Village vengono portati via solo i rami più bassi o che sporgono troppo».
Mai sottovalutare le potature, ricorda poi: «Un mio maestro diceva sempre che da lì si capisce se l’amministrazione di una città è corrotta o no…».
Rosanna Carpentieri per il Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia di San Giorgio del Sannio (BN)
Le immagini sono cruente e si sconsiglia la visione ai bambini senza la supervisione di un adulto.
Abbiamo ribadito più volte nel comunicato e lo facciamo anche in questa sede … che la domanda fondamentale è: dove va a finire la legna?
La Guardia Forestale e la Procura della Procura dovranno accertarlo con immediatezza!

lunedì 22 dicembre 2014

Rosanna Carpentieri al sindaco: Noi ci battiamo per un Bilancio partecipato. Non se ne può più di malagestione della cosa pubblica

Da Gazzetta di Benevento del 22.12.2014

Rosanna Carpentieri: Noi ci battiamo per un Bilancio partecipato. Non se ne può più di malagestione della cosa pubblica
La coordinatrice del Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia commenta il "confronto" con la cittadinanza tenuto dal sindaco di San Giorgio del Sannio, Claudio RicciRedazione
Rosanna Carpentieri (foto), coordinatore del Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia, in una nota, ha commentato, criticandole duramente, le affermazioni  del sindaco di San Giorgio del Sannio, Claudio Ricci, fatte durante  un  confronto  con  la  cittadinanza  avvenuto  lo  scorso  14  dicembre.
"Qui - scrive - dove ci stiamo battendo per il bilancio partecipato e non se ne può più della malagestione della cosa pubblica e della carenza dei servizi a fronte di una pesante tassazione, abbiamo sentito dire dal sindaco Ricci, nel presunto "confronto con la cittadinanza" (in realtà un monologo autoelogiativo su tasse e perequazione urbanistica, in cui le voci di domanda o di critica, provenienti dal pubblico sono state sonoramente redarguite e scoraggiate!): "Le mie tasse sono le più basse. Non lo dice il vostro sindaco ma andate a cercare su internet!". Oppure: "Per il 2015 pagherete di meno se pagherete tutti!" e così via.
Insomma, a meno di due giorni dalla famigerata ed iniqua scadenza fiscale Imu-Tasi, il sindaco ha chiarito la sua posizione: austerity sul modello dei diktat della troika europea e tasse "intoccabili", in quanto emanazione del Governo Renzi, non importa se conformi o meno al principio della capacità contributiva che è la base costituzionale di ogni tassazione!
Intanto, sindaco e giunta decidono cosa fare e i sudditi devono partecipare consenzienti: è questa, non altra, la sua opinabile idea di trasparenza e democrazia partecipata! 
Salvo poi scomodare il codice penale per tentare di imbavagliare critiche e dissenso, come è puntualmente accaduto con la denuncia ambientale inoltrata da un comitato civico a seguito dello scempio o scorretta e inopportuna capitozzatura perpetrati in danno di due alberate storiche, unico polmone verde rimasto dopo le colate di cemento elevate a sistema.
E poi, con un semaforo che lampeggia da anni 24 h su 24 senza assolvere alla sua funzione, quando per ripristinarne la piena funzionalità basterebbe l'irrisoria cifra di poco più di 4.500 euro, ma di quale opera pubblica vuole seriamente parlare il nostro sindaco? 
Dell'ennesimo spreco (su cui si guarda bene dal  chiedere "confronti" con i cittadini), dell'inutile Giro d'Italia o della stucchevole edizione a venire della Notte della Salsiccia? Oppure del mutuo ventennale di 250mila euro per Palazzo Bocchini e un altro indebitamento dell'Ente (cioè la cittadinanza tutta) per la presunta "nuova" Villa Comunale (la vecchia dov'e di grazia?) per la quale si vanta e si autoelogia di avere acquisito l'area con l'istituto della perequazione urbanistica?"
  
comunicato n.76556


domenica 21 dicembre 2014

IMU e TASI anti costituzionali. Ma ci sono sindaci conniventi e sindaci che denunciano e citano lo Stato !

Siete al corrente di iniziative analoghe intraprese dal sindaco di San Giorgio del Sannio, per caso ?

Qui, dove ci stiamo battendo per il bilancio partecipato e non se ne può più della malagestione della cosa pubblica e della carenza dei servizi a fronte di una pesante tassazione, abbiamo sentito dire dal sindaco Ricci, nel presunto "confronto con la cittadinanza" del 14 dicembre c.a. (in realtà un monologo autoelogiativo su tasse e perequazione urbanistica, in cui  le voci di domanda o di critica, provenienti dal pubblico sono state sonoramente redarguite e scoraggiate !):
"Le mie tasse sono le più basse.Non lo dice il vostro sindaco ma andate a verificare su internet confrontando il nostro con altri comuni !". Oppure:
"Per il 2015 pagherete di meno se pagherete tutti !" etc.etc.
Insomma, a meno di due giorni dalla famigerata e iniqua scadenza fiscale del versamento a saldo della IUC 2014 , il sindaco ha chiarito la sua posizione: austerity sul modello dei diktat della troika europea e tasse "intoccabili", in quanto emanazione del governo Renzi , non importa se conformi o meno al principio della capacità contributiva che è la base costituzionale di ogni tassazione!
Intanto, sindaco e giunta decidono cosa fare e i sudditi devono partecipare consenzienti: è questa -non altra- la sua opinabile idea di trasparenza e democrazia partecipata! 
Salvo poi scomodare il codice penale per tentare di imbavagliare critiche e dissenso, come è puntualmente accaduto con la denuncia ambientale inoltrata da un comitato civico a seguito dello scempio o scorretta e inopportuna capitozzatura perpetrati in danno di due alberate storiche, unico polmone verde rimasto dopo le colate di cemento elevate a sistema.
E poi, con un semaforo che lampeggia da anni 24 h su 24 senza assolvere alla sua funzione, quando per ripristinarne la piena funzionalità basterebbe l'irrisoria cifra di poco più di 4500 euro ma di quale opera pubblica  vuole seriamente parlare il nostro sindaco ??? 
Dell'ennesimo spreco (su cui si guarda bene dal  chiedere "confronti" con i cittadini), dell'inutile Giro d'Italia o della stucchevole edizione a venire della Notte della Salsiccia ? Oppure del mutuo ventennale di 250.000 euro per palazzo Bocchini e un altro indebitamento dell'Ente (cioè la cittadinanza tutta) per la presunta "nuova" villa comunale (la vecchia dov'e di grazia?) per la quale si vanta e si autoelogia di avere acquisito l'area con l'istituto della perequazione urbanistica ?


Da internet e dalla moderna agorà dell'antica Grecia (il social network facebook) ben altro apprendiamo circa altri Comuni ed altri sindaci.
Matteo Camiciottoli, coraggioso Sindaco del Comune di Pontinvrea, si è apertamente schierato al fianco della Costituzione.
Dalla sua pagina Facebook un annuncio importantissimo :
“Il Comune di Pontinvrea già nel 2012 non ha applicato l’imu sulla prima casa, ritenendola una vera e propria rapina di stato  in un momento di crisi per le famiglie come quello che stiamo attraversando in Italia.
Il 20 ottobre 2014 il Consiglio Comunale di Pontinvrea ha dato mandato all’avvocato Marco Mori di ricorrere in giudizio per far dichiarare incostituzionale la legge sulla tassazione sulla casa, per manifesta violazione degli articoli 2; 42; 47; 53 della Costituzione. È un’iniziativa politica forte se messa in campo da un’istituzione come un Sindaco e un Consiglio Comunale.
Fermo restando che convintamente andrò avanti, credo sia ora che gli italiani debbano diventare parte attiva del loro futuro ed è per questo che lanceremo con chi ci vorrà stare una serie di gazebo per raccogliere adesioni, cioè chiederemo agli italiani di costituirsi con noi convinti come siamo che più saremo e più potremmo lanciare il messaggio ai giudici che saranno chiamati a giudicare che l’Italia se desta.
Tutti coloro che vogliono partecipare possono richiedermi il materiale per la raccolta delle adesioni, a me personalmente per messaggio privato o scrivermi all’indirizzo mail ripartiamoinsieme@libero.it.
Io ci metto la faccia ma vorrei che girandomi non vedessi il vuoto ma migliaia di persone da tutta Italia che grida basta.
NOI SIAMO ATTIVAMENTE  CON IL SINDACO DI PONTINVREA, NON CON IL SINDACO DI SAN GIORGIO DEL SANNIO (BN) !


“La semplice idea di tassare il risparmio in nome di un’asserita falsa emergenza è assolutamente contraria alla nostra Costituzione che impone che la contabilità dello Stato sia in deficit nel lungo periodo al fine di consentire la creazione di un risparmio diffuso altrimenti impossibile. In particolare non si vede come sia possibile legittimare un’imposizione sui beni immobili che costituiscono per definizione la principale forma di risparmio dei cittadini italiani. L’imposizione di una tassa sul risparmio è in chiara antitesi con la tutela ad esso riconosciuta (in tutte le sue forme) dalla Costituzione – art. 47″.
L’Imu, la famigerata imposta unica comunale, è«semplicemente» anticostituzionale. E il Comune di Pontinvrea, su iniziativa del sindaco Matteo Camiciottoli – che già da un paio d’anni si batte a fondo contro l’iniqua forma di tassazione e, intanto, l’ha abolita per i suoi concittadini – ha deciso di citare lo Stato in giudizio, in quanto – spiega l’avvocato Marco Mori, legale dell’amministrazione comunale – l’imposta è lesiva dei diritti sanciti dagli articoli 2, 42, 47 e 53 della Costituzione italiana. In particolare, aggiunge Mori, a calpestare il diritto e il buon senso è la violazione di quanto sta scritto nell’articolo 47 della Carta, che tutela il risparmio,e il 53 che fa riferimento alla capacità contributiva. 
Prima udienza il 31 marzo, davanti al Tribunale di Genova: «Il Comune di Pontinvrea -sottolinea ancora l’avvocato Mori – non avrebbe potuto agire in giudizio, in quanto questa possibilità è riservata solo a livello individuale.
Pertanto si è inserito (ed è questa la prima volta in Italia) nella causa analoga intentata da un cittadino di Rapallo». In questo senso, la procedura è stata accolta regolarmente. In particolare, il cittadino ricorrente, con atto di citazione 10 novembre 2014, «conveniva in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero degli Interni al fine di accertare» la violazione dei «propri diritti costituzionalmente tutelati, ovvero l’inviolabilità della persona (art. 2 Cost.), la proprietà (art. 42 Cost.), il risparmio in tutte le sue forme (art. 47 Cost.) nonché il principio della capacità contributiva (art. 53 Cost.) e conseguentemente condannare, eventualmente anche in solido tra loro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Interno a risarcire il danno non patrimoniale». In relazione, il Comune di Pontinvrea, che «da anni si batte contro le ingiuste ed inique imposte sulla casa, stante il fondamentale valore economico e sociale dell’abitazione, ha conferito mandato all’Avv. Marco Mori al fine di formulare intervento adesivo in vertenza che abbia ad oggetto l’accertamento
dell’incostituzionalità delle imposte sulla casa».
La semplice idea – è la tesi del Comune di Pontinvrea – di tassare il risparmio in nome di un’asserita falsa emergenza è assolutamente contraria alla nostra Costituzione che impone che la contabilità dello Stato sia in deficit nel lungo periodo al fine di consentire la creazione di un risparmio diffuso altrimenti impossibile. In particolare non si vede come sia possibile legittimare un’imposizione sui beni immobili che costituiscono per definizione la principale forma di risparmio dei cittadini italiani e dunque anche di quello dei cittadini di Pontinvrea. L’imposizione di tasse sui risparmi è la chiara antitesi della tutela del risparmio in tutte le sue forme prevista in Costituzione, l’imposta sulla casa è una tassa sul risparmio. Questo dunque vale non solo per la prima casa che gode di una tutela rafforzata anche nel secondo comma del citato art. 47 Cost. «Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione».
Ancora in merito, infine, alla violazione degli artt. 2, 42 e 53 della Costituzione, «la normativa di legge non solo crea un’imposta regressiva che colpisce ovviamente maggiormente i poveri rispetto ai ricchi ma altresì non prevede alcuna correlazione concreta con la capacità contributiva dei cittadini. Se ad esempio, con una vita di sacrifici, un italiano compra un immobile ma poi, sfortunatamente, perde il lavoro, lo Stato pretenderà da esso la corresponsione di imposte nonostante non abbia alcun tipo di reddito, imponendo addirittura ai Comuni il recupero delle somme».
Insomma, ce n’è abbastanza per ritenere più che fondate le motivazioni alla base del giudizio. E non solo i cittadini di Pontinvrea, ma tutti gli italiani attenderanno con ansia la pronuncia del tribunale.
Rosanna Carpentieri
Coordinatrice del Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia

giovedì 18 dicembre 2014

Il ruolo chiave degli enti locali per l’uscita dalla crisi di sistema e dal patto di "destabilizzazione sociale”

Gli enti locali sono, e sempre più saranno in futuro, uno dei luoghi di precipitazione della crisi sistemica, nella quale le politiche di austerity hanno imprigionato il continente europeo.
Sono infatti gli enti locali a possedere le enormi ricchezze (territorio, patrimonio pubblico, servizi pubblici locali), quantificate in 571 miliardi di euro in un rapporto del 2011 di Deutsche Bank, divenute preda dell’enorme massa di denaro accumulata negli ultimi decenni sui mercati finanziari.
Sapientemente costretti all’angolo da un quindicennio di patto di stabilità interno rivolto a destrutturare il loro ruolo pubblico e sociale, oggi gli enti locali si trovano alla stretta finale tra vendere tutta la ricchezza collettiva detenuta – e divenire complici della propria sparizione – o ribellarsi a diktat, tagli, vincoli monetari e tornare ad essere luoghi della democrazia di prossimità.
Anche perché da luoghi passivi di precipitazione della crisi potrebbero diventare luoghi attivi per una diversa uscita dalla crisi sistemica provocata dal capitalismo finanziarizzato.
Il modello neoliberale ha modificato profondamente i concetti di spazio e di tempo che governano le attività umane, allargando esponenzialmente il primo – l’intero pianeta come unico mercato – e  riducendo drasticamente il secondo, essendo divenuto l’indice di Borsa del giorno successivo l’unica scadenza temporale.
È proprio dal ribaltamento dei significati attribuiti dal modello neoliberale al tempo e allo spazio che si possono intravedere le coordinate per un’altra uscita dalla crisi: 
occorre ridurre drasticamente lo spazio dell’attività economica e produttiva fino all’autogestione territoriale e nel contempo allargare esponenzialmente il tempo di misura delle scelte, che deve divenire quello delle conseguenze sulle future generazioni.
Si comprende bene, da questo punto di vista, la centralità dell’ente locale come luogo per immaginare un’altra economia, diverse relazioni sociali, un nuovo modo di declinare i tempi di vita e quelli di lavoro.
Non si tratta di rifugiarsi nel localismo, luogo dominato dall’ansia verso il futuro incerto e dalla paura di un presente troppo complesso; ma, al contrario, di riattribuire senso e significato al lavoro, all’ambiente,
alla società e alla democrazia. 
Rimettere al centro la territorialità chiama in causa innanzitutto la gestione dei beni comuni (acqua, energia, territorio, rifiuti), che già di per sé determina la qualità della dimensione collettiva raggiunta da una determinata comunità.
Rispetto a questo, affermare che i beni comuni devono essere sottratti al mercato e gestiti con la partecipazione diretta degli abitanti significa porre le basi per un altro modello sociale: quello che, per quanto riguarda l’acqua, si pone il problema del diritto all’accesso e della tutela del bene; per quanto
riguarda i rifiuti, si pone drasticamente fuori da ogni logica di smaltimento a valle attraverso discariche o inceneritori, e ragiona di “rifiuti zero”; per quanto riguarda l’energia, contrasta non solo l’utilizzo dei combustibili fossili, ma l’insieme del modello energetico basato sui grandi impianti per scegliere l’energia diffusa e tendenzialmente auto-prodotta; e, per quanto riguarda il territorio, contrasta ogni sua devastazione attraverso grandi opere inutili, ma pone le basi per la sua tutela e riassetto idrogeologico.
Già solo questo insieme di riflessioni, ci dice quanta possibilità di lavoro, pulito, socialmente utile ed ecologicamente orientato potrebbe risiedere nel territorio e trovare l’ente locale come motore trainante ed elemento di propulsione diretta.
Ma l’attenzione al territorio aprirebbe ben più ampi risvolti; basti pensare alla questione del cibo e della relazione fra campagna e dimensione urbana, con la possibile apertura da parte dell’ente locale di un
circolo virtuoso fra la produzione e il consumo di cibo, basato sulla giustizia sociale, sulla relazione diretta fra contadini e cittadini e sulla qualità dell’alimentazione.

Si tratta con tutta evidenza di mettere l’ente locale al centro di una nuova economia sociale territoriale, in grado, almeno parzialmente, di produrre una riflessione collettiva non sulla crescita astratta, bensì sul “cosa, come, dove e perché produrre” provando ad intervenire direttamente laddove la scala della territorialità lo consente (pensiamo anche alla questione della mobilità) e di innescare pluri-livelli di confronto laddove la scala diviene necessariamente più ampia. 
Tutto questo richiede enti locali attenti e soprattutto comunità consapevoli, conflittuali e attive nella riappropriazione di ciò che a tutti appartiene e che oggi viene progressivamente sottratto dagli interessi dei grandi capitali finanziari. 
Una comunità che non accetta supinamente la vendita del patrimonio pubblico esistente, ma lo occupa per metterlo a disposizione dei bisogni di lavoro, socialità, formazione e cultura dell’intera comunità. 
Dove sono i soldi per fare tutto questo? 
Qui tocchiamo il nodo fondamentale dello scontro in atto, perché se non si mettono in discussione le regole esistenti, la partita è già segnata. Fra drastica riduzione dei  trasferimenti, spending review e, soprattutto, un patto di stabilità, che andrebbe più correttamente rinominato “patto di destabilizzazione sociale”, gli enti locali sono ormai privi di risorse, quando non a rischio default: le manovre economiche dei diversi governi dell’ultimo decennio hanno comportato complessivamente un taglio delle erogazioni agli enti locali pari a oltre 16 miliardi, nonostante gli stessi contribuiscano solo per il 7,6% alla spesa pubblica nazionale e per il 2,5% al debito pubblico del Paese. 
Per questo diviene necessaria la rottura dell’attuale patto di stabilità, chiedendo da subito che tutti gli investimenti rivolti ai beni comuni e al welfare locale vengano sottratti ai vincoli dello stesso; e diviene dirimente la rivendicazione di una nuova finanza pubblica e sociale che, a partire dalla socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti, consenta agli enti locali di effettuare investimenti  d’interesse generale a tassi agevolati. Mentre, al contempo, si possono sperimentare forme locali di tasse di scopo o di finanziamento a progetto, collettivamente decisi attraverso processi partecipativi delle comunità locali.
Sono processi complessi che necessitano di una forte partecipazione dal basso: quella che troppi amministratori continuano a temere, invece di rendersi permeabili anche alle forme più conflittuali della stessa.
“Scateniamo tempeste, ma preferiamo il sole” era scritto su un muro della città di Roma. 
Solo un sindaco che vede ma non guarda può decidere di cancellarla, illudendosi di poter mantenere un ruolo nel silenzioso grigiore delle sue stanze.

lunedì 15 dicembre 2014

Appalti senza gara e trucchi: il bluff delle municipalizzate

Con o senza società in house e municipalizzate, esistono in Italia Comuni, come quello di San Giorgio del Sannio, in cui la gara di appalto costituisce l'eccezione. E' giusto questo per una amministrazione trasparente? 

È con le società in house, longa manus degli enti locali, che si realizzano i maggiori artifizi: servizi pubblici milionari agli amici e bilanci fantasma. 

Un mondo sommerso senza regole !

C'è tutto un mondo sommerso del quale si tiene poco conto quando si parla delle partecipate. Le paroline magiche, che trasformano una normale società in una sorta di intermediario che opera con affidamenti diretti, in barba alla concorrenza, le abbiamo prese in prestito dall'inglese. 
Ed è con le società «in house», longa manus degli Enti, che si realizzano i maggiori artifizi. L'ex commissario alla spending review , Carlo Cottarelli, nella sua relazione ha evidenziato l'anomalia Italia che vede nel nostro Paese un boom di queste società. E anche la Corte dei conti bacchetta le Regioni, bocciando questa pratica: «L'affidamento a società in house – rimarcano i giudici contabili – resta previsto soltanto come ipotesi eccezionale». Ma invece succede il contrario. Ancora la Corte dei conti, con le cifre: «Si evidenzia il ricorso generalizzato a tale modalità di affidamento (in house, ndr ), in quanto le gare con impresa terza risultano essere soltanto 31 (su un totale di 24.578)». Una prassi generalizzata, dunque. Che ha un indubbio vantaggio: permette di calpestare le regole.

IL LAVORO C'È. PER GLI AMICI

E dunque: niente gare d'appalto, affidamento alle coop di commesse milionarie (i limiti fissati dalla legge si bypassano frazionando l'appalto, in modo che resti sempre sotto la soglia entro cui la gara diventerebbe obbligatoria), assunzioni di massa, fuori dai limiti imposti alle pubbliche amministrazioni. Come in Friuli Venezia Giulia, dove la Corte dei conti evidenzia come ci siano 2.800 dipendenti, ma altri 1.700 lavorano per la stessa Regione grazie a «un sistema satellitare composto da enti, agenzie, aziende, società ed enti funzionali». Insomma, tutti escamotages tecnici per sfuggire a fastidiose norme, come le gare d'appalto o i limiti alle assunzioni.

IL CASO VENEZIANO

Uno dei casi più eclatanti è quello della Veritas spa, la società che si occupa di acqua e rifiuti, partecipata dai Comuni della Provincia di Venezia e Treviso. A sollevare il caso, con un esposto appena presentato alla Corte dei conti, è il consigliere regionale veneto Diego Bottacin. La stessa coop, nel 2013, ha ricevuto da Veritas Spa la bellezza di undici affidamenti, per quasi un milione e mezzo di euro. Tutti senza gara perché tutti - appositamente - sotto i 200mila euro (anche solo di 50 euro, come un lavoro da 199.950 euro), la soglia comunitaria oltre la quale è obbligatorio fare la gara. 
«Le grandi municipalizzate – spiega – non svolgono più direttamente il servizio pubblico che i comuni affidano loro, ma lo sub-affidano ad una miriade di cooperative e società con assoluta discrezionalità e senza alcuna gara, anche quando si tratta di commesse milionarie, magari attraverso l'artificio del frazionamento dell'appalto». 
C'è di tutto, nell'esposto che Bottacin girerà anche all'Autorità anticorruzione: affidamento a terzi dei servizi, coop rosse ma non solo; zero controllo da parte dei comuni. E un'enorme potere su un'enorme massa di denaro pubblico, che si può usare anche molto male. Mafia capitale docet .

IL GIOCO DELLE TRE CARTE

Gli esempi, qua e là per l'Italia, sono diversi. Meno debiti scaricandoli sulle partecipate, o vendendo a società in house le proprie reti. È il caso della Ravenna holding spa, su cui il Comune ha scaricato, dice l'opposizione, debiti per circa 33 milioni. Dall'Emilia alla Puglia. La Corte dei conti, sulla base dei bilanci 2012, ha puntato l'indice contro «la tendenza da parte degli amministratori locali a scaricare le perdite d'esercizio delle società partecipate sugli enti locali, gravando quindi sui contribuenti». Prendiamo la Santa Teresa spa di Brindisi, società multiservizi della Provincia con un valore di produzione nel 2012 di 5.467.322 euro e un utile netto di esercizio di 211.980 euro. La Provincia ha trasferito alla partecipata, per far fronte ai contratti di servizio, 6.804.835 euro.

BILANCI FANTASMA

Una galassia con molti buchi neri, quella delle partecipate degli enti locali. A rilevarlo è anche il Cerved, il centro studi che periodicamente analizza la pubblica amministrazione italiana. Molte società partecipate non depositano neppure il bilancio, una zona d'ombra che può far comodo se si vuol nascondere la polvere sotto il tappeto. «Un numero non trascurabile di società ancora operative, 656 (il 12%), non ha mai depositato il bilancio del 2012 (o riporta un attivo pari a zero) - si legge nell'ultimo rapporto del Cerved - Il mancato deposito di bilancio spesso denota una situazione di difficoltà dell'azienda, che non riesce a chiudere i libri contabili. Nella maggior parte dei casi, il 72%, si tratta di società per cui il problema è ricorrente nel tempo (anche nel 2011 non è stato depositato un bilancio). Non mancano però casi di partecipate di dimensioni medio-grandi che non hanno adempiuto all'obbligo di deposito del bilancio (25 con un totale dell'attivo compreso tra 10 e 50 milioni nel 2011 e 13 con un totale dell'attivo superiore a 50 milioni)». 
Una giungla con troppe ombre.
Per la situazione sangiorgese si legga:

Denuncia alla Sovrintendenza Beni culturali e Paesaggistici per "mattanza" di tigli storici a San Giorgio del Sannio (BN)

Alla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania
Via Eldorado, 1
80132 - Napoli
Tel. 0812464111  -  Fax  0817645305

​Spett.le Direzione Generale ​
per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania
​,

sono la fondatrice e coordinatrice di un comitato civico di San Giorgio del Sannio (BN), il Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia.

Mi corre obbligo segnalare formalmente alla Direzione ​quanto è accaduto in San Giorgio del Sannio per responsabilità imputabili all'amministrazione comunale.


Nella scorsa tarda primavera si è attuato lo scempio di due alberate di tigli storici, nel centralissimo viale Spinelli e in Via dei Sanniti.

Non è stata resa nota sul sito istituzionale dell'Ente nè la gara di appalto per simili lavori straordinari, nè la ditta vincitrice, nè i beneficiari della legna residuata alla macabra e scorretta capitozzatura

della chioma dei tigli, la cui circonferenza ad 1 metro da terra misura circa 300(trecento) centimetri!

A chi è stata data la biomassa e con quali criteri è stata attribuita?

Il sindaco non ha mai voluto rispondere e fare chiarezza pubblicamente!

Di seguito trascrivo i miei interventi sulla stampa locale, allego dossier fotografico in parte pubblicato sul canale youtube:
http://youtu.be/H6PfnF7KxS0 

e            
​        CHIEDO

l'immediato intervento della Sovrintendenza dei beni culturali e paesaggistici,

affinchè attivi le procedure di legge contro il Comune, a tutela del verde pubblico gravemente leso e promuova nei confronti dell'Ente responsabile causa per il risarcimento del danno biologico inferto con lesioni volontarie ai tigli.

In ultimo, solleciti anche a nome del comitato che coordino, l'adozione immediata di un Regolamento del Verde, sia pubblico che privato, la cui stesura venga fatta di concerto con personale altamente specializzato e con la partecipazione di esponenti della cittadinanza, liberamente scelti.

PARTE INTEGRANTE DELLA DENUNCIA

Da Il Vaglio del 05.03.2014
"Decapitati" della chioma i tigli di due viali: scempio ambientale a San Giorgio del Sannio, la denuncia
L'ennesimo scempio: sintesi efficace di quanto accaduto a San Giorgio del Sannio, esploso “sul più famoso social network internazionale, Facebook, moderna agorà dell'antica Grecia e sede di mobilitazione del Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia, coordinato dall'ambientalista attivista indipendente Rosanna Carpentieri”. Da qui “è partita la relativadenuncia ambientale. Le domande sono: a chi dava fastidio la chioma naturale e l'ombra odorosa dei tigli, bene comune dell'intera cittadinanza, testimonianza di ben altro amore per la natura dei nostri antenati che li hanno impiantati? Ma, soprattutto: chi si è appropriato abusivamente della legna risultante dalle efferate mutilazioni?” L'oggetto, come ben si comprende dalla nota della Carpentieri, è la cosiddetta “capitozzatura” che ha interessato “le suggestive alberate di tigli di viale Spinelli e Via dei Sanniti. E speriamo che in questa follia barbarica risparmino le sofore”, auspica Cancellieri, che spiega: “La capitozzatura sono ormai 35 anni che è esclusa dalla comunità scientifica dalle pratiche di corretta potatura di un albero, che non può ridursi ad un palo artificiale o a un antiestetico e malaticcio appendi abiti. Malgrado più di 35 anni di letteratura che ne spiegano i pericolosi effetti, la capitozzatura rimane una pratica diffusa”. Ma “la struttura naturale delle branche di un albero è un prodigio. Gli alberi hanno una moltitudine di forme e dimensioni finalizzate fondamentalmente ad una ottimale captazione della radiazione solare. Il risultato è l’infinita varietà di architetture che definiscono l’identità di ogni specie arborea e che costituiscono il carattere fondamentale della bellezza di ogni albero.
Un albero capitozzato ha irreversibilmente perso la sua naturale architettura. Ma non solo.
​ ​
Un albero capitozzato è vulnerabile e predisposto a rotture e può essere pericoloso. Dal momento che la capitozzatura è riconosciuta come una pratica inaccettabile di potatura, ogni danno causato dalla caduta dei rami può essere riconosciuta come negligenza presso un tribunale. In virtù di tale scempio dagli esiti forse infausti San Giorgio ha perso l'ultimo residuo di verde pubblico ed una suggestiva galleria ombrosa e odorosa, per cedere il posto al torrido asfalto e all'invivibile traffico.

E' questa la tutela del verde dell'attuale giunta?”, si chiede – retoricamente - la Carpentieri.
“Quei tigli – conclude - sono beni comuni: è indispensabile pertanto la coesione dei cittadini per la tutela di un territorio ferito da colate di cemento” e “da aggressioni continue e sistematiche al nostro già scarno patrimonio ambientale e paesaggistico, tenendo presente che gli alberi non sono oggetti, nè orpelli di arredamento urbano ma complessi ecosistemi viventi e che esiste un paesaggio 'estetico' da contemplare come tele pittoriche da inventare, ma che esso fa tutt'uno con il paesaggio 'etico"' cioè quello da vivere, coessenziale alla vita umana”.
 ​

Da L'Informatore Sannita del 05.03.2014

Ennesimo scempio che amministratori insensibili e privi di scrupoli (giunta Ricci Claudio) hanno permesso a San Giorgio del Sannio (BN).
Proprio sul più famoso social network internazionale, Facebook, moderna agorà dell’antica Grecia e sede di mobilitazione del Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia, coordinato dall’ambientalista attivista indipendente Rosanna Carpentieri, è partita la relativa denuncia ambientale.
Le domande sono: a chi dava fastidio la chioma naturale e l’ombra odorosa dei tigli, bene comune dell’intera cittadinanza, testimonianza di ben altro amore per la natura dei nostri antenati che li hanno impiantati? Il sindaco Ricci sapeva che quei tigli rientrano nelle tutele previste per le alberate storiche di particolare interesse paesaggistico e ambientale? Ma, soprattutto: chi si è appropriato abusivamente della legna risultante dalle efferate mutilazioni ? Chi è il “biomassaro” della mattanza in oggetto, plateale esempio di barbarie, violenza e ignoranza ? Forse il nostro sindaco e gli amici dell’Ufficio Tecnico comunale ?
Perchè nessuno si è incatenato ai tronchi impedendone la capitozzatura selvaggia di queste creature maestose e indifese?
Alcune indagini le delegheremo alle autorità, altre continueremo a farle in proprio, con l’invito a portare nel prossimo consiglio comunale di questa masnada di picari ignoranti e incompetenti, forse finanche in malafede,…una bella motosega.Ovvero l’arma del delitto con cui è giusto, ormai, chiedere giustizia !
Intanto chiediamo ai veri amici della natura, ai veri agronomi e ai veri forestali di diffondere in ogni sede questo crimine e di supportarci nella nostra protesta a difesa della vita e della bellezza.
Esistono leggi che tutelano gli alberi monumentali ed una che addirittura impone al comune di censirli .Ma San Giorgio del Sannio non è il paese del verde e della legalità ! Ci riferiamo in particolare alla Legge 10/2013 “Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani”, che all’art. 7 riporta le “disposizioni per la tutela e la salvaguardia degli alberi monumentali, dei filari e delle alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale”.

Nei sei mesi precedenti l’entrata in vigore della legge, il comune di San Giorgio avrebbe dovuto aver censito gli alberi monumentali del proprio territorio e aver fatto pervenire l’elenco alla Regione, la quale, a sua volta ed entro i sei mesi seguenti, lo avrebbe dovuto inoltrare al Corpo Forestale dello Stato e renderlo pubblico sul sito internet istituzionale.
Niente di ciò è stato fatto dall’amministrazione sangiorgese che invece, nell’imminenza della primavera, quando ormai le gemme fogliari erano pronte a dischiudersi ha pensato di far capitozzare le suggestive alberate di tigli di viale Spinelli e Via dei Sanniti !
E speriamo che in questa ignobile follia barbarica risparmino le sofore !


Ma chi sono questi pseudo agronomi, questi forestali ignoranti che hanno mutilato tutta la chioma dei tigli, causandone l’indebolimento se non la morte prossima? La capitozzatura sono ormai 35 anni che la comunità scientifica (quella vera, non quella dei cialtroni sangiorgesi) la esclude dalle pratiche di corretta potatura di un albero, che non può ridursi ad un palo artificiale o a un antiestetico e malaticcio appendi abiti. Rendo noto che ho informato in data 3.3.2014 il corpo forestale dello stato Sez. di San Giorgio del Sannio, denunciando in particolare la violazione della legge n.10/2013 , l’omesso rilascio del parere obbligatorio e vincolante previsto dalla legge per qualunque modifica significativa della chioma degli alberi, e chiedendo accertamenti su che fine abbia fatto la legna risultante dal massacro.La ditta incaricata pare sia invece di Cucciano ed a tanto si sono prestati pseudo agronomi e forestali per un miserrimo appaltuccio ! Vergogna ! Vi invitiamo a contattare in tanti questo numero di servizio della sez.forestale di San Giorgio (3387807234) registrando il messaggio dettato in segreteria…oppure a farvi mettere in contatto diretto col Comando Provinciale tramite il 1515.Ancora una volta, la locale caserma dei carabinieri è come se non ci fosse e neppure abbiamo visto l’attivazione del referente territoriale del Forum SALVIAMO IL PAESAGGIO, DIFENDIAMO I TERRITORI.
Malgrado più di 35 anni di letteratura che ne spiegano i pericolosi effetti, la capitozzatura rimane una pratica diffusa quanto l’inestirpabile ignoranza dei nostri amministratori.

La struttura naturale delle branche di un albero è un prodigio. Gli alberi hanno una moltitudine di forme e dimensioni finalizzate fondamentalmente ad una ottimale captazione della radiazione solare. Il risultato è l’infinita varietà di architetture che definiscono l’identità di ogni specie arborea e che costituiscono il carattere fondamentale della bellezza di ogni albero.
Un albero capitozzato ha irreversibilmente perso la sua naturale architettura.
Ma non solo.
Un albero capitozzato è vulnerabile e predisposto a rotture e può essere pericoloso. Dal momento che la capitozzatura è riconosciuta come una pratica inaccettabile di potatura, ogni danno causato dalla caduta dei rami può essere riconosciuta come negligenza presso un tribunale.
In virtù di tale scempio dagli esiti forse infausti San Giorgio ha perso l’ultimo residuo di verde pubblico ed una suggestiva galleria ombrosa e odorosa, per cedere il posto al torrido asfalto e all’invivibile traffico.
E’ questa la tutela del verde dell’attuale giunta ?
L’amministrazione Ricci non vede l’inquinamento e i ROVI sui marciapiedi, ma ha pensato male, malissimo, di amputare (forse con conseguenze irreversibili)senza il barlume di una motivazione logica e ragionevole, l’alberata di tigli di via dei Sanniti e del Viale Spinelli; forse, per scroccare biomassa da ardere gratis ?
E’ quanto accerteremo con e senza l’ausilio delle autorità competenti.

P.S.
Abbiamo inviato alla redazione (che ringraziamo) e alle autorità competenti un corposo dossier fotografico .
In parte lo potete visionare sul canale youtube di “carpentum”: http://youtu.be/H6PfnF7KxS0.
Le immagini sono cruente e si sconsiglia la visione ai bambini senza la supervisione di un adulto.
Ho ribadito più volte nel comunicato e lo faccio ancora … che la domanda fondamentale è: dove va a finire la legna?
La Guardia Forestale e la Procura della Procura dovranno accertarlo con immediatezza!
Perchè bisogna spezzare sul nascere il cerchio della speculazione pro bio-masse e quella dell’arricchimento illecito.
Grazie per l’attenzione.
(Rosanna Carpentieri)

Da InfoSannio del 13.12.2014 e da Agorà News On Line del 13.12.3014

San Giorgio del Sannio (BN), Rosanna Carpentieri: “Mattanza di tigli storici e mattanza di…democrazia e partecipazione! Faremo causa per danno biologico al patrimonio verde!”

COMITATO CITTADINI PER LA TRASPARENZA E LA DEMOCRAZIA
COMUNICATO STAMPA

 "Anche se mi avete mutilato e ferito io conosco il cielo...e sono testimone muto, indifeso ma maestoso delle vostre meschinità." Il tiglio

Vorrei segnalare che la Soprintendenza di Bergamo, in collaborazione con il CFS, ha avviato la prima causa milionaria per danno biologico al patrimonio verde (nel caso di specie, privato. Qualora esso sia pubblico e cioè un bene comune di tutti, ciò costituirebbe un'aggravante di non poco conto!)
IL FATTO:
Cinquecento (500) tigli e ippocastani secolari del santuario ottocentesco di Caravaggio, distrutti questo inverno dall’ignoranza di un gruppo di pensionati incaricati delle potature, sono sottoposti ora ad una perizia individuale per la determinazione del danno biologico subito.
Gli esemplari, dell’età di 90-120 anni e dell’altezza di 20-25 m, sono ora ridotti a monconi alti 5-6m.
A prima vista il danno biologico varia da 2500 a 3500 euro/albero per un totale complessivo di circa 1,5 milioni di euro…non si sa a carico di chi:
a carico del Santuario per negligenza nella custodia di verde sotto vincolo monumentale,
a carico dei sei pensionati per lesioni dolose e colpose,
a carico del Comune per inosservanza nei doveri di vigilanza.
I 6 pensionati, dopo qualche giorno di bestemmie in dialetto bergamasco, sono ora in ritiro spirituale nel santuario e bevono acqua santa dalla mattina alla sera.

LA MATTANZA DI TIGLI STORICI A SAN GIORGIO DEL SANNIO
E' rimasta finora impunita, circondata da una coltre di punti interrogativi cui l'Ente si sottrae dal rispondere, e, - cosa più grave e aberrante - ha avuto dei risvolti giudiziari in danno di chi ha sporto formale denuncia di quanto commesso dall'amministrazione.

MA NOI NON DEMORDEREMO !

IL DANNO BIOLOGICO AI TIGLI SECOLARI DI VIA DEI SANNITI E DI VIALE SPINELLI E' APPUNTO QUANTO IL COMITATO CITTADINI PER LA TRASPARENZA E LA DEMOCRAZIA RICHIEDERA' AL SINDACO RICCI E AL COMUNE DI SAN GIORGIO DEL SANNIO !
E non finisce qui.
Perchè l'ente comunale dopo la mattanza dei tigli voluti da Napoleone Bonaparte e non segnalati e protetti dall'Ente come storici e monumentali (legge n.10/2013) ha pensato, ancora una volta malissimo, di ABBATTERE addirittura gli alberi del Palazzetto dello Sport! 
E intanto la Procura beneventana indaga su chi denuncia! 

Ma non è legittimo chiedersi quali siano le motivazioni che hanno spinto a tale scempio con costi diretti a carico della comunità e che fine abbia fatto la legna? Chi se ne è appropriato? O a chi è stata assegnata e in base a quali criteri?

Una cosa è certa: le lamentele "querulanti" del sindaco che fa un abuso strumentale della denuncia per diffamazione (TUTTA DA DIMOSTRARE!)  per imbavagliare il dissenso e le più che legittime critiche alle scelte perverse dell'amministrazione (così come l'indignazione e i mugugni dei cittadini...) non servono. 
Esiste una procedura tecnica per la determinazione del DANNO BIOLOGICO. E la si applica negli incidenti come PURE nelle LESIONI VOLONTARIE su uomo, ANIMALI E ALBERI ! 

Non a caso, come comitato civico,nella scorsa tarda primavera e cioè nell'immediatezza dei fatti criminosi, abbiamo fatto denuncia anche a mezzo stampa (dato l'interesse e la rilevanza PUBBLICA) al Corpo Forestale dello Stato e direttamente alla Procura (inviando alle autorità competenti un corposo e orripilante dossier fotografico). 
Purtroppo, nella nostra ristretta realtà provincialotta e limitante, la Forestale non ha espletato -per quanto ci risulta - le indagini richieste non ravvisando nessuna violazione di legge (sic!), mentre la Procura di Benevento, attraverso l'opera diretta dell'esimio procuratore capo dott. Giuseppe Maddalena, non ha trovato nulla di meglio da fare che  sottoporre la denunciante (la coordinatrice del comitato, denunciante e scrivente in nome e per conto di tale associazione spontanea di cittadini) a ben 9 mesi di indagine per aver leso la reputazione del sindaco Ricci.... (SIC!).

Incredibile, ma VERO!

In conclusione, vorrei riportare quanto risponderebbe al sindaco Ricci, senza troppi peli sulla lingua, Ermanno Casasco, professionista di fama internazionale e autore del libro Giardiniere errante: 
«A New York nevica più che a Milano, ma agli alberi di Central Park o al Village vengono portati via solo i rami più bassi o che sporgono troppo». 
Mai sottovalutare le potature, ricorda poi: «Un mio maestro diceva sempre che da lì si capisce se l’amministrazione di una città è corrotta o no…».

Rosanna Carpentieri
per il Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia di San Giorgio del Sannio (BN)

P.S. Video

Con osservanza.                                                      Rosanna Carpentieri
                                                                                    via Cesine 36
                                                                                    82018 San Giorgio del 
                                                                                                Sannio (BN)

ALLEGATI:



Chiarimenti sull'istituto della perequazione urbanistica

Domenica 14 dicembre 2014 il Sindaco di San Giorgio del Sannio, in un incontro sui generis con la cittadinanza voluto -apparentemente- per stimolare la partecipazione (l'amministrazione Ricci è notoria per non chiedere mai il parere dei cittadini su iniziative spesso discutibili che intraprende !), non ha fatto altro che "promettere" la riduzione delle tasse per il prossimo anno ed autoelogiarsi sino all'inverosimile ...per avere acquisito al patrimonio comunale due aree mediante l'istituto della perequazione urbanistica. 
Inutile dire che l'incontro è stato un monologo, in cui qualunque domanda o intervento critico dei cittadini veniva scoraggiato tramite altisonanti e aprioristiche invettive !!!
Qualche testimonianza in merito può fornirla il signor Angelo DE BIASE presente all' "incontro pre-IMU e Tasi".
Senza presenziare alla riunione, ha dato una ottima risposta al Sindaco il gruppo di opposizione consiliare "Nuova San Giorgio" che sugli organi di stampa ha così detto:
La storia della perequazione a San Giorgio del Sannio è diversa da quella che dovrebbe
Grazie a questo strumento avremmo già dovuto veder realizzata la Villa Comunale, ma così non è dicono i consiglieri comunali d'opposizione Giovino Carpenella ed Antonio Castaldo

I consiglieri comunali di opposizione di San Giorgio del Sannio, Giovino Carpenella ed Antonio Castaldo , con una nota, sono intervenuti sulla questione relativa all'adeguamento del Puc (Piano Urbanistico Comunale) al Ptcp (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale). 
"Quello che avevamo previsto - scrivono - è accaduto.
A San Giorgio del Sannio, l'Amministrazione Ricci ha di recente approvato l'adeguamento, un'iniziativa che la maggioranza non ha esitato a definire di grande concretezza, lungimiranza e via dicendo.
Ma le dichiarazioni poco dicono nel merito di un atto che era obbligatorio. 
In sostanza il documento si conferma in perfetta linea con il Puc approvato nel 2008.
Non a caso il cuore del provvedimento, ancora una volta, è rappresentato dalla perequazione, strumento che in tutte le città che lo usano serve a realizzare prioritariamente un interesse pubblico concreto e tangibile e di conseguenza anche un interesse privato.
La storia della perequazione a San Giorgio del Sannio è ben diversa.
Grazie a questo strumento avremmo già dovuto veder realizzata la Villa Comunale.
Ad oggi, anche in temini di progettazione, c'è solo la perimetrazione dell'area, del resto non c'è traccia. 
Certo è stato acquisito il terreno in via Aldo Moro, circa 9000 mq, ma senza fondi per la 

villa, l'unico interesse ad essere realizzato resterà solo quello privato (concreto e tangibile fin da subito).
Stessa sorte probabilmente attende altri luoghi, come il terreno nei pressi del Palazzetto dello Sport di Sant'Agnese, sul quale si ipotizza l'allargamento degli impianti sportivi ma manca anche solo un'ipotesi su dove trovare i fondi.
La progettazione è allo studio di fattibilità e ben sappiamo quanti progetti si siano fermati così. 
Torniamo a dire, quindi, che sarebbe ora di smettere di utilizzare argomenti seri come la pianificazione territoriale per puro ritorno elettorale.
Per non dire poi di come, probabilmente, l'adeguamento sia stato usato anche per tentare di sanare, senza riuscirci, permessi di costruire non conformi allo strumento urbanistico adottato nel 2008. 
Allo stesso modo, l'approvazione del Ruec (Regolemento urbanistico edilizio comunale) non ha corretto le forti lacune presenti nel documento del 2008.
Infine vale la pena ricordare che il provvedimento avrebbe potuto anche essere occasione per pianificare il territorio in sinergia con i Comuni limitrofi, come più volte si è detto senza mai però passare dalle parole ai fatti".


Noi però vorremmo andare oltre ed offrire un contributo all'istituto della cd. perequazione urbanistica che in realtà è uno strumento iniquo.
E lo facciamo attraverso le parole del Prof.Roberto Camagni ,Ordinario di Economia urbana, Politecnico di Milano.

La perequazione urbanistica, intesa in senso stretto, costituisce uno strumento potenzialmente benefico e utile di gestione delle trasformazioni urbane. Essa consiste nella attribuzione di un indice lordo di edificabilità all'interno di ampie zone omogenee di trasformazione individuate dal piano, con contestuale concentrazione dell'effettiva edificabilità su singole sub-aree e cessione gratuita di altre aree al Comune.

Gli obiettivi, e i relativi benefici, potenzialmente ricavabili sono noti: efficacia urbanistica, attraverso un migliore disegno urbano e maggiori spazi pubblici; equità nel trattamento degli interessi privati; semplificazione, poiché si evita il ricorso a lunghe e costose procedure di esproprio.
Con modalità che giudico quantomeno superficiali e anomale, ci si sta oggi rapidamente avviando alla introduzione nel nostro ordinamento di una nuova interpretazione di questo istituto, di dubbia operatività e soprattutto di altamente dubbia equità: la perequazione ‘sconfinata', con diritti edificatori (DE) trasferibili senza correttivi ovunque nella città, dove sia prevista dal Piano una edificabilità effettiva.

Perché si tratta di un processo superficiale? Perché, partendo dalla innegabile necessità di normare a livello nazionale la pratica, oggi consolidata, della perequazione urbanistica, non ci si rende conto che, abbracciando la perequazione ‘sconfinata', siamo di fronte a una discontinuità, una differenza fondamentale. Nella perequazione tradizionale,‘punto-a-punto', con definizione contestuale dell'area di origine e dell'area di ‘atterraggio', il valore del DE è pienamente definibile, e come tale assegnabile dal pianificatore pubblico al privato in modo trasparente e facilmente trattabile sul mercato fra privati. Nella perequazione ‘sconfinata' invece il DE è commerciabile senza preventiva conoscenza dell'area di destinazione, e quindi senza una qualunque possibilità di definirne il valore. E questo fatto è gravido di conseguenze negative, operative e normative.

Perché si tratta di un processo anomalo? Perché la vera natura e i limiti della perequazione ‘sconfinata', nonché i possibili correttivi, sono ben chiari alla migliore teoria urbanistica, estimativa, giuridica ed economica urbana; ma nel dibattito pubblico e nelle attuali traduzioni normative i facili correttivi non sono mai presi in considerazione.

La normativa statale recente tratta esplicitamente dei DE trasferibili nel ‘Decreto Sviluppo' del 13 maggio 2011 (convertito in l. 12 luglio 2011 n. 106, art. 5 comma 3), prevedendo la pubblicità delle relative compravendite attraverso la trascrizione in apposito Albo e conseguentemente nei registri catastali. Essa non distingue fra le due fattispecie, quella tradizionale e quella recente, ‘sconfinata', normata nel PGT di Milano, adottato ma non approvato dalla precedente Giunta Moratti nel febbraio 2011; e si arguisce che si intenda applicarla a entrambe le fattispecie. Invece, in modo esplicito, il "Progetto di riforma in materia di perequazione urbanistica", predisposto in forma di Bozza di Disegno di Legge dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri e dal Consiglio Nazionale degli Architetti, con la consulenza del giurista Paolo Stella Richter, prevede proprio la fattispecie ‘sconfinata': "La potenzialità edificatoria non direttamente utilizzabile nell'area di proprietà può essere liberamente trasferita, nell'ambito di uno stesso Comune, su altra area, propria o di altro proprietario" (all'art. 6 comma 6).

In un importante convegno sulla "Borsa dei diritti edificatori" su iniziativa della Borsa Immobiliare di Milano (22 febbraio), sono state presentate numerose riflessioni e proposte in materia giuridica, urbanistica e tributaria. Il DE e le relative volumetrie sono state definite dal Presidente del Consiglio Notarile di Milano come ‘beni immateriali', "che possono formare oggetto di diritti, assimilabili ai beni immobili" (1); tuttavia si afferma – con una rilevante forzatura a mio avviso – che i DE "assumono (debbono assumere) una qualità del tutto eterogenea rispetto agli altri beni immobili: quella di essere privi di localizzazione fisica" (p. 50).

Come non vedere in tutto ciò una contraddizione evidente? Il DE origina agganciato a un bene immobile (il fondo di proprietà, precisamente localizzato e conseguentemente valorizzato), ma l'effettiva edificazione non è esercitabile in loco; nel successivo periodo del ‘volo', in cui viene compravenduto due volte, il DE perde contatto con la localizzazione di origine e diviene un generico ‘diritto a costruire un metro cubo ovunque nella città'; infine, allorché ‘atterra' riappare come diritto a costruire ‘un metro cubo localizzato', nell'area dell'utilizzatore, assumendo un nuovo valore (una plus- o minus-valenza) dato dalla differenza fra la qualità urbanistica del luogo di origine e di destinazione.

Elenchiamo le conseguenze e le contraddizioni operative in cui si incorrerebbe (se non si applicassero alcuni necessari correttivi, peraltro mai citati nel convegno):
-il mercato che si intende promuovere non avrebbe certo le necessarie caratteristiche di certezza, affidabilità e trasparenza, poiché i beni compravenduti, i DE, acquisiscono un valore solo ex-post, alla fine del processo, e cioè in fase di ‘atterraggio', e non ex-ante allorché sono affidati per la vendita alla Borsa;
-nella Borsa dei diritti si tratterebbe un solo bene omogeneo, il ‘metro cubo milanese' (nel caso esaminato), cosa quanto mai peculiare;
-il prezzo di mercato di questo unico bene sarebbe un prezzo medio, definito dalla quantità complessiva dei DE assegnati in città e delle edificabilità effettive. In conseguenza, questo prezzo sarebbe troppo elevato per una utilizzazione periferica (e quindi quest'ultima risulterebbe disincentivata o comunque non profittevole) e sarebbe troppo a buon mercato per una utilizzazione centrale (con vantaggio indebito per il contraente più scaltro);
-nel caso di un DE nato su una localizzazione periferica e utilizzato su localizzazioni centrali, è chiaro che il proprietario di un terreno centrale (con edificabilità accoglibile attraverso l'acquisto di diritti) sarebbe disposto a pagarlo ben più del suo prezzo medio, formatosi sul mercato indifferenziato. A chi andrebbe questo plusvalore? Potrebbe andare al detentore del DE, ma solo se questi cercasse e trovasse compratori fuori borsa; o all'utilizzatore finale, che avrebbe invece tutto il vantaggio di restare anonimo in borsa, e che comunque non ne avrebbe gran diritto; o infine all'intermediario di borsa, che trarrebbe un guadagno ingiustificato per effetto della non trasparenza del mercato.

Verisimilmente, sempre nel caso ipotizzato al punto precedente, si verificherebbero due casi più probabili. Da una parte, un allungamento della catena delle transazioni: l'acquirente del DE opererebbe in Borsa, acquisterebbe al prezzo medio e successivamente venderebbe all'utilizzatore finale a un prezzo maggiorato, grazie alla conoscenza della localizzazione di utilizzo; sarebbe o un intermediario o un prestanome, magari estero-vestito, dell'utilizzatore finale. D'altra parte, il secondo caso probabile consisterebbe nella corsa all'acquisto anticipato, da parte di possibili utilizzatori finali, non di DE ma di terreni periferici, dotati di diritti edificatori, a partire dal momento in cui sia divenuta probabile l'adozione della perequazione sconfinata nel Piano. Entrambe queste prassi sarebbero figlie del meccanismo scopertamente speculativo che la perequazione sconfinata crea e legalizza.

Come ho cercato di chiarire in una precedente occasione (2), da tutto quanto precede emerge una doppia contraddizione: la perequazione ‘sconfinata' sarebbe ingestibile da una Borsa dei Diritti, perché tratterebbe un bene il cui valore è indefinibile nel momento in cui viene compravenduto; inoltre sarebbe profondamente iniqua, perché attribuirebbe uguali diritti (volumetrie utilizzabili ovunque) ai possessori di diritti di proprietà su suoli del tutto differenti, e dunque diversamente valorizzati. Si concretizzerebbe un nuovo, e del tutto artificiale, percorso speculativo, con l'attribuzione, per decisione pubblica, di vistose rendite differenziali ai proprietari di terreni periferici dotati di DE utilizzati su terreni centrali.

In questa situazione, appare inspiegabile e preoccupante la riconferma, effettuata dalla nuova Giunta di Milano, del principio della perequazione ‘sconfinata' nel PRG recentemente approvato (art. 7 comma 5 del Piano delle Regole). E' ben vero che l'applicazione più scandalosa, ad alcune aree verdi di cintura, localizzate nel Parco Sud, prevista dal precedente PGT, è stata cancellata e che il meccanismo là previsto è stato fortemente "depotenziato": ma un principio vizioso e inaccettabile, quand'anche depotenziato, non diviene per ciò stesso un principio virtuoso e accettabile.

Ciò è tanto più strano in quanto tre dei principali proponenti e sostenitori di questo principio, che operano in ambiente tecnico-scientifico, hanno scritto a chiare lettere che la perequazione sconfinata genera inaccettabili iniquità: Gigi Mazza nel 2004 (3) , Ezio Micelli nel 2011 (che ha comunque firmato il dispositivo della precedente amministrazione milanese) (4) e Marcello de Carli (5) nel 2012. Tutti e tre questi autori - come io stesso nel saggio citato - indicano due semplici correttivi possibili e necessari: o limitare la trasferibilità dei diritti su ampie ma definite fasce urbane a simile valorizzazione, o permettere la piena trasferibilità dei DE ma definendo coefficienti di correzione (ad esempio: due DE originati in periferia per un metro cubo da realizzare in semicentro).

Ancora più preoccupante appare poi la proposta, fatta nella citata Bozza di Disegno di Legge del Consiglio Nazionale degli Ingegneri e degli Architetti, che la libera compravendita dei diritti edificatori avvenga "senza che il trasferimento sia soggetto a oneri fiscali" (Art. 6 comma 6). Dunque un diritto di natura immobiliare, elargito gratuitamente dalla pubblica amministrazione per finalità pubbliche e comportante potenzialità edificatoria effettiva anche in zone centrali, dovrebbe essere esente da tassazione?

In sintesi: una perequazione con trasferimento di diritti nell'intera città senza correttivi o rapporti di concambio – che, come ci ricorda Maria Cristina Gibelli, non è utilizzata in nessun altro paese (6) – oltre ad essere probabilmente inapplicabile, autorizzerebbe un modello del tutto nuovo e artificiale di speculazione fondiaria e immobiliare, premiando con una rilevante e indebita rendita differenziale alcuni proprietari. I correttivi possibili sono stati chiaramente definiti e sono facilmente utilizzabili, ma nelle applicazioni concrete e nelle proposte di legge non se ne parla.
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NOTE

(1) D. De Stefano, "La circolazione dei diritti edificatori", in M. De Carli (a cura di), La libera circolazione dei diritti edificatori, nel Comune di Milano e altrove, Milano, F. Angeli, 2012, p. 48.

(2) R. Camagni, "L'uso improprio della perequazione urbanistica: il caso del PGT di Milano", EyesReg – Giornale di Scienze Regionali, Vol. 1, N. 1, Maggio 2011.

(3) "Il valore di un'area dipende sia dai diritti di edificazione assegnati, sia dalla sua posizione nello spazio urbano. (…) Pertanto, senza interventi correttivi, si potrebbero trasferire diritti di aree a basso valore su aree ad alto valore con una forte sperequazione rispetto ai trasferimenti tra aree a uguale valore. L. Mazza, "Un'ipotesi di indice unico per le assegnazioni d'uso del suolo di Piano regolatore", in L. Mazza, Prove parziali di riforma urbanistica, Milano, Franco Angeli, 2004, p. 150.

(4) "La liberalizzazione dei diritti edificatori e dei crediti edilizi rende più fragile l'equità nella distribuzione dei valori. Il titolare di un diritto edificatorio sorto su di un'area periferica della città può infatti commercializzare il potenziale volumetrico in aree centrali ottenendo valori superiori a quelli delle aree in cui il diritto edificatorio è sorto"; "forme di regolazione dunque sono essenziali". E. Micelli, La gestione dei piani urbanistici – perequazione,accordi, incentivi, Marsilio, Venezia, 2011, p. 113 e 116.

(5) "La perequazione sconfinata prevista dal PGT adottato da Milano (…) non è perfettamente equa: (…) sono avvantaggiati dalla rendita differenziale i proprietari delle aree edificabili centrali o i proprietari di aree [di origine dei DE] periferiche che riescano ad appropriarsi, nella compravendita, di quote di rendita differenziale". M. De Carli, op. cit., p.93.
(6) M.C. Gibelli, "Pisapia si (pre-)occupa di urbanistica?", AlcipelagoMilano, 15 e 22 maggio 2012.

ESTRATTO DAL LIBRO: Perequazione urbanistica, Filodiritto Editore, Bologna, Aprile 2013
I Consiglio di Stato ha ritenuto di rinvenire la copertura “normativa” dell’istituto della perequazione nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 bis e 11 della L. 241/90 ss.mm., ossia nella possibilità di ricorrere agli strumenti convenzionali per il perseguimento delle finalità perequative.
Diversamente opinando, la latitanza del legislatore determinerebbe guasti notevoli in un ambito così delicato, se si pone mente al fatto che, dopo la legge 1150/1942 (la quale, seppur in maniera innovativa per l’epoca, ha disciplinato la materia in generale), l’unico intervento riformatore varato è rappresentato dalla cosiddetta legge-ponte, la L. n. 765/1967 (che, pur introducendo alcuni istituti quali lo standard e lo zoning, non costituisce una disciplina organica della materia).
Visto l’ampio spazio temporale trascorso e visti i mutamenti sociali, economici, territoriali, si comprende perché sia molto sentita l’esigenza di una nuova legge urbanistica nazionale.
Come si è anticipato in precedenza, numerosi sono stati i vari tentativi di riforma, che non hanno avuto esito positivo. Tuttavia, anche precedentemente agli ultimi approdi giurisprudenziali in materia di strumenti convenzionali legittimanti, il legislatore nazionale – pur astenendosi dall’articolare una disciplina esatta – ha (espressamente) evidenziato l’istituto dei diritti edificatori, ancorché “sparsi” in diversi provvedimenti legislativi, ove quindi è possibile rinvenire i prodromi legittimanti.
Le sopracitate leggi, attraverso l’espresso riferimento alla nozione di diritto edificatorio, avevano indotto la dottrina ad interrogarsi se tali interventi potevano costituire il fondamento a livello statale dei concetti di perequazione, compensazione e premialità, concludendo per la soluzione negativa, in quanto trattasi di interventi estemporanei e contingenti.
Con riguardo alle Regioni che non hanno disciplinato la materia, dunque, inizia a profilarsi una generalizzata ammissibilità delle tecniche perequative anche in assenza di un’espressa normativa. E ciò perché le finalità distributive della perequazione sembrano caratterizzare anche istituti già noti, quali il comparto edificatorio di cui all’art. 23, L. n. 1150/1942, il piano di recupero di cui alla L. 457/1978, ed il sistema delle lottizzazioni convenzionate ex art. 28 legge n. 765/1967, «istituti che si basano sul principio secondo il quale chi si giova di una previsione urbanistica favorevole, ritraendone un certo incremento di valore, può legittimamente essere chiamato a sopportare, con una parte di quell’incremento, i costi delle opere di urbanizzazione e più in generale della sistemazione urbanistica, purché si tratti di opere e di interventi la cui utilità pubblica trascende i confini della sua proprietà».
Per completezza è necessario dare atto di un orientamento contrario, sebbene abbastanza isolato, per il quale la possibilità di perequare «non può essere affatto considerata implicita al sistema e la sua compatibilità con la legislazione vigente va preliminarmente dimostrata».
Recentemente, di fronte a legittimazioni di natura giurisprudenziale, sempre subordinate ad oscillazioni e mutamenti, è intervenuto in emergenza il legislatore.
In tal senso può essere letto il recente “decreto sviluppo” n. 70 del 2011, convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106, che consente una minimale “copertura” normativa di livello nazionale alla perequazione. Non si tratta di quel «quadro di regole completo», auspicato dal Consiglio di Stato nelle sue recenti pronunce, bensì pare più come un soccorso d’urgenza, al fine di garantire certezza alla circolazione “aerea” dei diritti edificatori.

Le perequazioni nelle legislazioni regionali
In ragione dei molteplici interessi (economici in primis), pubblici e privati, cui i nuovi strumenti di pianificazione sembrano in grado di rispondere, nell’ultimo decennio si è assistito ad un considerevole sviluppo di legislazioni regionali in materia.
Ciò ha comportato che, nei territori regionali in cui non era/è presente alcuna disciplina, una delle questioni più avvertite è stata la valutazione sull’ammissibilità o meno dell’istituto perequativo in assenza, fino ad oggi, di un’esplicita previsione legislativa a monte.
La giurisprudenza soccorre ancora una volta alle lacune dell’ordinamento, e comunque in senso favorevole alla perequazione anche in difetto di una espressa normativa che la disciplinasse. E, difatti, i giudici amministrativi si sono espressi sulle eccezioni di non conformità alla legislazione vigente e contrasto con i principi costituzionali in materia di proprietà e di legalità dell’azione amministrativa, non rinvenendo allo stato attuale alcuna disciplina, di fonte legislativa, che autorizzi una riserva di proprietà fondiaria alla mano pubblica in assenza di specifica normativa primaria e al di fuori delle garanzie previste dall’art. 42 della Costituzione.
Invero, è stato affermato che lo strumento della perequazione, «sebbene non contemplato a livello di legislazione nazionale, è stato progressivamente introdotto dalle legislazioni regionali cui è affidata la disciplina del territorio e persegue l’obiettivo di eliminare le disuguaglianze create dalla funzione pianificatoria, in particolare dalla zonizzazione e dalla localizzazione diretta degli standards, quanto meno all’interno di ambiti di trasformazione, creando le condizioni necessarie per agevolare l’accordo fra i privati proprietari delle aree incluse in essi e promuovere l’iniziativa privata» (cfr. TAR Veneto, Venezia, sez. I, 19 maggio 2009, n. 1504; 10 gennaio 2011, n. 11).
Il delineato regime perequativo si regge – come evidenziato dal Consiglio di Stato, nella cit. sentenza n. 4545/2010 – «su due pilastri fondamentali e immanenti all’ordinamento: a) da un lato, il potere conformativo del territorio di cui l’amministrazione è titolare nell’esercizio della propria attività pianificatoria; b) d’altro lato, la possibilità di ricorrere a modelli privatistici e consensuali per il perseguimento di finalità di pubblico interesse». Il potere conformativo costituisce espressione della funzione amministrativa di governo del territorio, alla quale è connaturata la facoltà di porre condizioni e limiti al godimento del diritto di proprietà non di singoli individui, ma di intere categorie e tipologie di immobili identificati in termini generali e astratti. Il ricorso a moduli convenzionali attraverso cui realizzare gli obiettivi di perequazione urbanistica non è, poi, estraneo all’esperienza pianificatoria del nostro ordinamento (basti rammentare le convenzioni di lottizzazione) ed è anche rinvenibile negli accordi sostitutivi dell’espropriazione di cui all’art. 45 del d.p.r. n. 327/2001, che costituiscono proprio una applicazione alla particolare materia dell’ablazione della proprietà privata per la realizzazione di opere pubbliche, del generale principio dell’utilizzabilità di modelli negoziali per il perseguimento di scopi di pubblico interesse.
Più in generale, costituisce un principio giurisprudenziale oramai consolidatosi, quello secondo cui la base normativa della previsione degli strumenti consensuali per il perseguimento di finalità perequative va individuata nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 bis, e 11 della l. n. 241/1990. Ed invero, il legislatore con tali disposizioni ha optato per una piena e assoluta fungibilità dello strumento consensuale rispetto a quello autoritativo, sul presupposto della maggiore idoneità del primo al perseguimento degli obiettivi di pubblico interesse.
Essendo, così, venuta meno la previgente riserva alla legge dei casi in cui alle amministrazioni è consentito ricorrere ad accordi in sostituzione di provvedimenti autoritativi, tale possibilità deve ritenersi sempre e comunque sussistente (salvi i casi di espresso divieto normativo); col che non è stato affatto introdotto il principio della atipicità degli strumenti consensuali in contrapposizione a quello di tipicità e nominatività dei provvedimenti, in quanto lo strumento convenzionale deve pur sempre prendere il posto di un provvedimento autoritativo individuato fra quelli tipici disciplinati dalla legge: a garanzia del rispetto di tale limite, l’art. 11 cit. prevede l’obbligo di una previa determinazione amministrativa che anticipi e legittimi il ricorso allo strumento dell’accordo.
Nel caso sottoposto alla cognizione del giudice, l’amministrazione resistente aveva predeterminato le condizioni alle quali avrebbero potuto attivarsi i meccanismi convenzionali di cui alla L. 241/90 (solo se e quando i proprietari interessati avessero ritenuto di avvalersi degli incentivi connessi, e, cioè, di fruire della capacità edificatoria attribuita alla c.d. “superficie integrata”; ove ciò non fosse avvenuto, il Comune interessato alla realizzazione di attrezzature pubbliche, avrebbe dovuto attivarsi con gli strumenti tradizionali all’uopo predisposti dall’ordinamento, e cioè, in primis, con le procedure espropriative, previa localizzazione delle aree su cui operare gli interventi e formale imposizione di vincoli preordinati all’esproprio con apposita variante urbanistica).
Da quanto sopra emerge, dunque, come le prescrizioni urbanistiche de quibus – secondo il giudice amministrativo – trovino «il proprio fondamento in principi ben radicati nel nostro ordinamento, con riguardo, da un lato, al potere pianificatorio e di governo del territorio e, dall’altro, alla facoltà di stipulare accordi sostitutivi di provvedimenti».
In armonia con tali presupposti, la circostanza che si tratti di principi radicati nella legislazione nazionale consente di elidere in radice la lamentata lesione delle prerogative statali in materia: è evidente, infatti, che in tale panorama, anche in assenza di specifiche previsioni, la perequazione rimane rispettosa dei limiti imposti in materia di governo del territorio, dalla legislazione statale, sia esclusiva sia concorrente, alla potestà normativa delle regioni e dei comuni ex art. 117.
Tuttavia, proprio il Supremo Consesso della Giustizia amministrativa ha avuto modo di sottolineare a penna rossa come si ravvisi, comunque, «l’opportunità che lo Stato intervenga a disciplinare in maniera chiara ed esaustiva la perequazione urbanistica, nell’ambito di una legge generale sul governo del territorio, la cui adozione sarebbe auspicabile alla luce dell’inadeguatezza della normativa pregressa a fronte delle profonde innovazioni conosciute negli ultimi decenni dal diritto amministrativo e da quello urbanistico».
Malgrado tale auspicio, la perdurante assenza dell’intervento legislativo statale non può impedire, da un lato, «che le regioni esercitino la propria potestà legislativa in materia nel rispetto dei principi generali della legislazione statale» e, d’altro lato, «che tali principi vadano individuati sulla base del quadro normativo attuale, quale risultante dal complesso della legislazione urbanistica stratificatasi sul ceppo dell’originaria l. n. 1150/1942 e dell’applicazione fattane dalla giurisprudenza (anche costituzionale)»: è in questo modo che può pervenirsi alla conclusione secondo cui tutte le specifiche disposizioni, le quali, di volta in volta e per singoli profili, potrebbero venire intese quali “copertura” legislativa dei controversi istituti perequativi, costituiscono, in realtà, espressione dei principi generali richiamati.
In conclusione, il Consiglio di Stato ha ritenuto di rinvenire la copertura “normativa” dell’istituto della perequazione nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 bis e 11 della L. 241/90 ss.mm., ossia nella possibilità di ricorrere agli strumenti convenzionali per il perseguimento delle finalità perequative.
Diversamente opinando, la latitanza del legislatore determinerebbe guasti notevoli in un ambito così delicato, se si pone mente al fatto che, dopo la legge 1150/1942 (la quale, seppur in maniera innovativa per l’epoca, ha disciplinato la materia in generale), l’unico intervento riformatore varato è rappresentato dalla cosiddetta legge-ponte, la L. n. 765/1967 (che, pur introducendo alcuni istituti quali lo standard e lo zoning, non costituisce una disciplina organica della materia).
Visto l’ampio spazio temporale trascorso e visti i mutamenti sociali, economici, territoriali, si comprende perché sia molto sentita l’esigenza di una nuova legge urbanistica nazionale.
Come si è anticipato in precedenza, numerosi sono stati i vari tentativi di riforma, che non hanno avuto esito positivo. Tuttavia, anche precedentemente agli ultimi approdi giurisprudenziali in materia di strumenti convenzionali legittimanti, il legislatore nazionale – pur astenendosi dall’articolare una disciplina esatta – ha (espressamente) evidenziato l’istituto dei diritti edificatori, ancorché “sparsi” in diversi provvedimenti legislativi, ove quindi è possibile rinvenire i prodromi legittimanti.
Le sopracitate leggi, attraverso l’espresso riferimento alla nozione di diritto edificatorio, avevano indotto la dottrina ad interrogarsi se tali interventi potevano costituire il fondamento a livello statale dei concetti di perequazione, compensazione e premialità, concludendo per la soluzione negativa, in quanto trattasi di interventi estemporanei e contingenti.
Con riguardo alle Regioni che non hanno disciplinato la materia, dunque, inizia a profilarsi una generalizzata ammissibilità delle tecniche perequative anche in assenza di un’espressa normativa. E ciò perché le finalità distributive della perequazione sembrano caratterizzare anche istituti già noti, quali il comparto edificatorio di cui all’art. 23, L. n. 1150/1942, il piano di recupero di cui alla L. 457/1978, ed il sistema delle lottizzazioni convenzionate ex art. 28 legge n. 765/1967, «istituti che si basano sul principio secondo il quale chi si giova di una previsione urbanistica favorevole, ritraendone un certo incremento di valore, può legittimamente essere chiamato a sopportare, con una parte di quell’incremento, i costi delle opere di urbanizzazione e più in generale della sistemazione urbanistica, purché si tratti di opere e di interventi la cui utilità pubblica trascende i confini della sua proprietà».
Per completezza è necessario dare atto di un orientamento contrario, sebbene abbastanza isolato, per il quale la possibilità di perequare «non può essere affatto considerata implicita al sistema e la sua compatibilità con la legislazione vigente va preliminarmente dimostrata».
Recentemente, di fronte a legittimazioni di natura giurisprudenziale, sempre subordinate ad oscillazioni e mutamenti, è intervenuto in emergenza il legislatore.
In tal senso può essere letto il recente “decreto sviluppo” n. 70 del 2011, convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106, che consente una minimale “copertura” normativa di livello nazionale alla perequazione. 
Non si tratta di quel «quadro di regole completo», auspicato dal Consiglio di Stato nelle sue recenti pronunce, bensì pare più come un soccorso d’urgenza, al fine di garantire certezza alla circolazione “aerea” dei diritti edificatori.
La coordinatrice del Comitato
Rosanna Carpentieri
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