lunedì 15 dicembre 2014

Chiarimenti sull'istituto della perequazione urbanistica

Domenica 14 dicembre 2014 il Sindaco di San Giorgio del Sannio, in un incontro sui generis con la cittadinanza voluto -apparentemente- per stimolare la partecipazione (l'amministrazione Ricci è notoria per non chiedere mai il parere dei cittadini su iniziative spesso discutibili che intraprende !), non ha fatto altro che "promettere" la riduzione delle tasse per il prossimo anno ed autoelogiarsi sino all'inverosimile ...per avere acquisito al patrimonio comunale due aree mediante l'istituto della perequazione urbanistica. 
Inutile dire che l'incontro è stato un monologo, in cui qualunque domanda o intervento critico dei cittadini veniva scoraggiato tramite altisonanti e aprioristiche invettive !!!
Qualche testimonianza in merito può fornirla il signor Angelo DE BIASE presente all' "incontro pre-IMU e Tasi".
Senza presenziare alla riunione, ha dato una ottima risposta al Sindaco il gruppo di opposizione consiliare "Nuova San Giorgio" che sugli organi di stampa ha così detto:
La storia della perequazione a San Giorgio del Sannio è diversa da quella che dovrebbe
Grazie a questo strumento avremmo già dovuto veder realizzata la Villa Comunale, ma così non è dicono i consiglieri comunali d'opposizione Giovino Carpenella ed Antonio Castaldo

I consiglieri comunali di opposizione di San Giorgio del Sannio, Giovino Carpenella ed Antonio Castaldo , con una nota, sono intervenuti sulla questione relativa all'adeguamento del Puc (Piano Urbanistico Comunale) al Ptcp (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale). 
"Quello che avevamo previsto - scrivono - è accaduto.
A San Giorgio del Sannio, l'Amministrazione Ricci ha di recente approvato l'adeguamento, un'iniziativa che la maggioranza non ha esitato a definire di grande concretezza, lungimiranza e via dicendo.
Ma le dichiarazioni poco dicono nel merito di un atto che era obbligatorio. 
In sostanza il documento si conferma in perfetta linea con il Puc approvato nel 2008.
Non a caso il cuore del provvedimento, ancora una volta, è rappresentato dalla perequazione, strumento che in tutte le città che lo usano serve a realizzare prioritariamente un interesse pubblico concreto e tangibile e di conseguenza anche un interesse privato.
La storia della perequazione a San Giorgio del Sannio è ben diversa.
Grazie a questo strumento avremmo già dovuto veder realizzata la Villa Comunale.
Ad oggi, anche in temini di progettazione, c'è solo la perimetrazione dell'area, del resto non c'è traccia. 
Certo è stato acquisito il terreno in via Aldo Moro, circa 9000 mq, ma senza fondi per la 

villa, l'unico interesse ad essere realizzato resterà solo quello privato (concreto e tangibile fin da subito).
Stessa sorte probabilmente attende altri luoghi, come il terreno nei pressi del Palazzetto dello Sport di Sant'Agnese, sul quale si ipotizza l'allargamento degli impianti sportivi ma manca anche solo un'ipotesi su dove trovare i fondi.
La progettazione è allo studio di fattibilità e ben sappiamo quanti progetti si siano fermati così. 
Torniamo a dire, quindi, che sarebbe ora di smettere di utilizzare argomenti seri come la pianificazione territoriale per puro ritorno elettorale.
Per non dire poi di come, probabilmente, l'adeguamento sia stato usato anche per tentare di sanare, senza riuscirci, permessi di costruire non conformi allo strumento urbanistico adottato nel 2008. 
Allo stesso modo, l'approvazione del Ruec (Regolemento urbanistico edilizio comunale) non ha corretto le forti lacune presenti nel documento del 2008.
Infine vale la pena ricordare che il provvedimento avrebbe potuto anche essere occasione per pianificare il territorio in sinergia con i Comuni limitrofi, come più volte si è detto senza mai però passare dalle parole ai fatti".


Noi però vorremmo andare oltre ed offrire un contributo all'istituto della cd. perequazione urbanistica che in realtà è uno strumento iniquo.
E lo facciamo attraverso le parole del Prof.Roberto Camagni ,Ordinario di Economia urbana, Politecnico di Milano.

La perequazione urbanistica, intesa in senso stretto, costituisce uno strumento potenzialmente benefico e utile di gestione delle trasformazioni urbane. Essa consiste nella attribuzione di un indice lordo di edificabilità all'interno di ampie zone omogenee di trasformazione individuate dal piano, con contestuale concentrazione dell'effettiva edificabilità su singole sub-aree e cessione gratuita di altre aree al Comune.

Gli obiettivi, e i relativi benefici, potenzialmente ricavabili sono noti: efficacia urbanistica, attraverso un migliore disegno urbano e maggiori spazi pubblici; equità nel trattamento degli interessi privati; semplificazione, poiché si evita il ricorso a lunghe e costose procedure di esproprio.
Con modalità che giudico quantomeno superficiali e anomale, ci si sta oggi rapidamente avviando alla introduzione nel nostro ordinamento di una nuova interpretazione di questo istituto, di dubbia operatività e soprattutto di altamente dubbia equità: la perequazione ‘sconfinata', con diritti edificatori (DE) trasferibili senza correttivi ovunque nella città, dove sia prevista dal Piano una edificabilità effettiva.

Perché si tratta di un processo superficiale? Perché, partendo dalla innegabile necessità di normare a livello nazionale la pratica, oggi consolidata, della perequazione urbanistica, non ci si rende conto che, abbracciando la perequazione ‘sconfinata', siamo di fronte a una discontinuità, una differenza fondamentale. Nella perequazione tradizionale,‘punto-a-punto', con definizione contestuale dell'area di origine e dell'area di ‘atterraggio', il valore del DE è pienamente definibile, e come tale assegnabile dal pianificatore pubblico al privato in modo trasparente e facilmente trattabile sul mercato fra privati. Nella perequazione ‘sconfinata' invece il DE è commerciabile senza preventiva conoscenza dell'area di destinazione, e quindi senza una qualunque possibilità di definirne il valore. E questo fatto è gravido di conseguenze negative, operative e normative.

Perché si tratta di un processo anomalo? Perché la vera natura e i limiti della perequazione ‘sconfinata', nonché i possibili correttivi, sono ben chiari alla migliore teoria urbanistica, estimativa, giuridica ed economica urbana; ma nel dibattito pubblico e nelle attuali traduzioni normative i facili correttivi non sono mai presi in considerazione.

La normativa statale recente tratta esplicitamente dei DE trasferibili nel ‘Decreto Sviluppo' del 13 maggio 2011 (convertito in l. 12 luglio 2011 n. 106, art. 5 comma 3), prevedendo la pubblicità delle relative compravendite attraverso la trascrizione in apposito Albo e conseguentemente nei registri catastali. Essa non distingue fra le due fattispecie, quella tradizionale e quella recente, ‘sconfinata', normata nel PGT di Milano, adottato ma non approvato dalla precedente Giunta Moratti nel febbraio 2011; e si arguisce che si intenda applicarla a entrambe le fattispecie. Invece, in modo esplicito, il "Progetto di riforma in materia di perequazione urbanistica", predisposto in forma di Bozza di Disegno di Legge dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri e dal Consiglio Nazionale degli Architetti, con la consulenza del giurista Paolo Stella Richter, prevede proprio la fattispecie ‘sconfinata': "La potenzialità edificatoria non direttamente utilizzabile nell'area di proprietà può essere liberamente trasferita, nell'ambito di uno stesso Comune, su altra area, propria o di altro proprietario" (all'art. 6 comma 6).

In un importante convegno sulla "Borsa dei diritti edificatori" su iniziativa della Borsa Immobiliare di Milano (22 febbraio), sono state presentate numerose riflessioni e proposte in materia giuridica, urbanistica e tributaria. Il DE e le relative volumetrie sono state definite dal Presidente del Consiglio Notarile di Milano come ‘beni immateriali', "che possono formare oggetto di diritti, assimilabili ai beni immobili" (1); tuttavia si afferma – con una rilevante forzatura a mio avviso – che i DE "assumono (debbono assumere) una qualità del tutto eterogenea rispetto agli altri beni immobili: quella di essere privi di localizzazione fisica" (p. 50).

Come non vedere in tutto ciò una contraddizione evidente? Il DE origina agganciato a un bene immobile (il fondo di proprietà, precisamente localizzato e conseguentemente valorizzato), ma l'effettiva edificazione non è esercitabile in loco; nel successivo periodo del ‘volo', in cui viene compravenduto due volte, il DE perde contatto con la localizzazione di origine e diviene un generico ‘diritto a costruire un metro cubo ovunque nella città'; infine, allorché ‘atterra' riappare come diritto a costruire ‘un metro cubo localizzato', nell'area dell'utilizzatore, assumendo un nuovo valore (una plus- o minus-valenza) dato dalla differenza fra la qualità urbanistica del luogo di origine e di destinazione.

Elenchiamo le conseguenze e le contraddizioni operative in cui si incorrerebbe (se non si applicassero alcuni necessari correttivi, peraltro mai citati nel convegno):
-il mercato che si intende promuovere non avrebbe certo le necessarie caratteristiche di certezza, affidabilità e trasparenza, poiché i beni compravenduti, i DE, acquisiscono un valore solo ex-post, alla fine del processo, e cioè in fase di ‘atterraggio', e non ex-ante allorché sono affidati per la vendita alla Borsa;
-nella Borsa dei diritti si tratterebbe un solo bene omogeneo, il ‘metro cubo milanese' (nel caso esaminato), cosa quanto mai peculiare;
-il prezzo di mercato di questo unico bene sarebbe un prezzo medio, definito dalla quantità complessiva dei DE assegnati in città e delle edificabilità effettive. In conseguenza, questo prezzo sarebbe troppo elevato per una utilizzazione periferica (e quindi quest'ultima risulterebbe disincentivata o comunque non profittevole) e sarebbe troppo a buon mercato per una utilizzazione centrale (con vantaggio indebito per il contraente più scaltro);
-nel caso di un DE nato su una localizzazione periferica e utilizzato su localizzazioni centrali, è chiaro che il proprietario di un terreno centrale (con edificabilità accoglibile attraverso l'acquisto di diritti) sarebbe disposto a pagarlo ben più del suo prezzo medio, formatosi sul mercato indifferenziato. A chi andrebbe questo plusvalore? Potrebbe andare al detentore del DE, ma solo se questi cercasse e trovasse compratori fuori borsa; o all'utilizzatore finale, che avrebbe invece tutto il vantaggio di restare anonimo in borsa, e che comunque non ne avrebbe gran diritto; o infine all'intermediario di borsa, che trarrebbe un guadagno ingiustificato per effetto della non trasparenza del mercato.

Verisimilmente, sempre nel caso ipotizzato al punto precedente, si verificherebbero due casi più probabili. Da una parte, un allungamento della catena delle transazioni: l'acquirente del DE opererebbe in Borsa, acquisterebbe al prezzo medio e successivamente venderebbe all'utilizzatore finale a un prezzo maggiorato, grazie alla conoscenza della localizzazione di utilizzo; sarebbe o un intermediario o un prestanome, magari estero-vestito, dell'utilizzatore finale. D'altra parte, il secondo caso probabile consisterebbe nella corsa all'acquisto anticipato, da parte di possibili utilizzatori finali, non di DE ma di terreni periferici, dotati di diritti edificatori, a partire dal momento in cui sia divenuta probabile l'adozione della perequazione sconfinata nel Piano. Entrambe queste prassi sarebbero figlie del meccanismo scopertamente speculativo che la perequazione sconfinata crea e legalizza.

Come ho cercato di chiarire in una precedente occasione (2), da tutto quanto precede emerge una doppia contraddizione: la perequazione ‘sconfinata' sarebbe ingestibile da una Borsa dei Diritti, perché tratterebbe un bene il cui valore è indefinibile nel momento in cui viene compravenduto; inoltre sarebbe profondamente iniqua, perché attribuirebbe uguali diritti (volumetrie utilizzabili ovunque) ai possessori di diritti di proprietà su suoli del tutto differenti, e dunque diversamente valorizzati. Si concretizzerebbe un nuovo, e del tutto artificiale, percorso speculativo, con l'attribuzione, per decisione pubblica, di vistose rendite differenziali ai proprietari di terreni periferici dotati di DE utilizzati su terreni centrali.

In questa situazione, appare inspiegabile e preoccupante la riconferma, effettuata dalla nuova Giunta di Milano, del principio della perequazione ‘sconfinata' nel PRG recentemente approvato (art. 7 comma 5 del Piano delle Regole). E' ben vero che l'applicazione più scandalosa, ad alcune aree verdi di cintura, localizzate nel Parco Sud, prevista dal precedente PGT, è stata cancellata e che il meccanismo là previsto è stato fortemente "depotenziato": ma un principio vizioso e inaccettabile, quand'anche depotenziato, non diviene per ciò stesso un principio virtuoso e accettabile.

Ciò è tanto più strano in quanto tre dei principali proponenti e sostenitori di questo principio, che operano in ambiente tecnico-scientifico, hanno scritto a chiare lettere che la perequazione sconfinata genera inaccettabili iniquità: Gigi Mazza nel 2004 (3) , Ezio Micelli nel 2011 (che ha comunque firmato il dispositivo della precedente amministrazione milanese) (4) e Marcello de Carli (5) nel 2012. Tutti e tre questi autori - come io stesso nel saggio citato - indicano due semplici correttivi possibili e necessari: o limitare la trasferibilità dei diritti su ampie ma definite fasce urbane a simile valorizzazione, o permettere la piena trasferibilità dei DE ma definendo coefficienti di correzione (ad esempio: due DE originati in periferia per un metro cubo da realizzare in semicentro).

Ancora più preoccupante appare poi la proposta, fatta nella citata Bozza di Disegno di Legge del Consiglio Nazionale degli Ingegneri e degli Architetti, che la libera compravendita dei diritti edificatori avvenga "senza che il trasferimento sia soggetto a oneri fiscali" (Art. 6 comma 6). Dunque un diritto di natura immobiliare, elargito gratuitamente dalla pubblica amministrazione per finalità pubbliche e comportante potenzialità edificatoria effettiva anche in zone centrali, dovrebbe essere esente da tassazione?

In sintesi: una perequazione con trasferimento di diritti nell'intera città senza correttivi o rapporti di concambio – che, come ci ricorda Maria Cristina Gibelli, non è utilizzata in nessun altro paese (6) – oltre ad essere probabilmente inapplicabile, autorizzerebbe un modello del tutto nuovo e artificiale di speculazione fondiaria e immobiliare, premiando con una rilevante e indebita rendita differenziale alcuni proprietari. I correttivi possibili sono stati chiaramente definiti e sono facilmente utilizzabili, ma nelle applicazioni concrete e nelle proposte di legge non se ne parla.
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NOTE

(1) D. De Stefano, "La circolazione dei diritti edificatori", in M. De Carli (a cura di), La libera circolazione dei diritti edificatori, nel Comune di Milano e altrove, Milano, F. Angeli, 2012, p. 48.

(2) R. Camagni, "L'uso improprio della perequazione urbanistica: il caso del PGT di Milano", EyesReg – Giornale di Scienze Regionali, Vol. 1, N. 1, Maggio 2011.

(3) "Il valore di un'area dipende sia dai diritti di edificazione assegnati, sia dalla sua posizione nello spazio urbano. (…) Pertanto, senza interventi correttivi, si potrebbero trasferire diritti di aree a basso valore su aree ad alto valore con una forte sperequazione rispetto ai trasferimenti tra aree a uguale valore. L. Mazza, "Un'ipotesi di indice unico per le assegnazioni d'uso del suolo di Piano regolatore", in L. Mazza, Prove parziali di riforma urbanistica, Milano, Franco Angeli, 2004, p. 150.

(4) "La liberalizzazione dei diritti edificatori e dei crediti edilizi rende più fragile l'equità nella distribuzione dei valori. Il titolare di un diritto edificatorio sorto su di un'area periferica della città può infatti commercializzare il potenziale volumetrico in aree centrali ottenendo valori superiori a quelli delle aree in cui il diritto edificatorio è sorto"; "forme di regolazione dunque sono essenziali". E. Micelli, La gestione dei piani urbanistici – perequazione,accordi, incentivi, Marsilio, Venezia, 2011, p. 113 e 116.

(5) "La perequazione sconfinata prevista dal PGT adottato da Milano (…) non è perfettamente equa: (…) sono avvantaggiati dalla rendita differenziale i proprietari delle aree edificabili centrali o i proprietari di aree [di origine dei DE] periferiche che riescano ad appropriarsi, nella compravendita, di quote di rendita differenziale". M. De Carli, op. cit., p.93.
(6) M.C. Gibelli, "Pisapia si (pre-)occupa di urbanistica?", AlcipelagoMilano, 15 e 22 maggio 2012.

ESTRATTO DAL LIBRO: Perequazione urbanistica, Filodiritto Editore, Bologna, Aprile 2013
I Consiglio di Stato ha ritenuto di rinvenire la copertura “normativa” dell’istituto della perequazione nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 bis e 11 della L. 241/90 ss.mm., ossia nella possibilità di ricorrere agli strumenti convenzionali per il perseguimento delle finalità perequative.
Diversamente opinando, la latitanza del legislatore determinerebbe guasti notevoli in un ambito così delicato, se si pone mente al fatto che, dopo la legge 1150/1942 (la quale, seppur in maniera innovativa per l’epoca, ha disciplinato la materia in generale), l’unico intervento riformatore varato è rappresentato dalla cosiddetta legge-ponte, la L. n. 765/1967 (che, pur introducendo alcuni istituti quali lo standard e lo zoning, non costituisce una disciplina organica della materia).
Visto l’ampio spazio temporale trascorso e visti i mutamenti sociali, economici, territoriali, si comprende perché sia molto sentita l’esigenza di una nuova legge urbanistica nazionale.
Come si è anticipato in precedenza, numerosi sono stati i vari tentativi di riforma, che non hanno avuto esito positivo. Tuttavia, anche precedentemente agli ultimi approdi giurisprudenziali in materia di strumenti convenzionali legittimanti, il legislatore nazionale – pur astenendosi dall’articolare una disciplina esatta – ha (espressamente) evidenziato l’istituto dei diritti edificatori, ancorché “sparsi” in diversi provvedimenti legislativi, ove quindi è possibile rinvenire i prodromi legittimanti.
Le sopracitate leggi, attraverso l’espresso riferimento alla nozione di diritto edificatorio, avevano indotto la dottrina ad interrogarsi se tali interventi potevano costituire il fondamento a livello statale dei concetti di perequazione, compensazione e premialità, concludendo per la soluzione negativa, in quanto trattasi di interventi estemporanei e contingenti.
Con riguardo alle Regioni che non hanno disciplinato la materia, dunque, inizia a profilarsi una generalizzata ammissibilità delle tecniche perequative anche in assenza di un’espressa normativa. E ciò perché le finalità distributive della perequazione sembrano caratterizzare anche istituti già noti, quali il comparto edificatorio di cui all’art. 23, L. n. 1150/1942, il piano di recupero di cui alla L. 457/1978, ed il sistema delle lottizzazioni convenzionate ex art. 28 legge n. 765/1967, «istituti che si basano sul principio secondo il quale chi si giova di una previsione urbanistica favorevole, ritraendone un certo incremento di valore, può legittimamente essere chiamato a sopportare, con una parte di quell’incremento, i costi delle opere di urbanizzazione e più in generale della sistemazione urbanistica, purché si tratti di opere e di interventi la cui utilità pubblica trascende i confini della sua proprietà».
Per completezza è necessario dare atto di un orientamento contrario, sebbene abbastanza isolato, per il quale la possibilità di perequare «non può essere affatto considerata implicita al sistema e la sua compatibilità con la legislazione vigente va preliminarmente dimostrata».
Recentemente, di fronte a legittimazioni di natura giurisprudenziale, sempre subordinate ad oscillazioni e mutamenti, è intervenuto in emergenza il legislatore.
In tal senso può essere letto il recente “decreto sviluppo” n. 70 del 2011, convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106, che consente una minimale “copertura” normativa di livello nazionale alla perequazione. Non si tratta di quel «quadro di regole completo», auspicato dal Consiglio di Stato nelle sue recenti pronunce, bensì pare più come un soccorso d’urgenza, al fine di garantire certezza alla circolazione “aerea” dei diritti edificatori.

Le perequazioni nelle legislazioni regionali
In ragione dei molteplici interessi (economici in primis), pubblici e privati, cui i nuovi strumenti di pianificazione sembrano in grado di rispondere, nell’ultimo decennio si è assistito ad un considerevole sviluppo di legislazioni regionali in materia.
Ciò ha comportato che, nei territori regionali in cui non era/è presente alcuna disciplina, una delle questioni più avvertite è stata la valutazione sull’ammissibilità o meno dell’istituto perequativo in assenza, fino ad oggi, di un’esplicita previsione legislativa a monte.
La giurisprudenza soccorre ancora una volta alle lacune dell’ordinamento, e comunque in senso favorevole alla perequazione anche in difetto di una espressa normativa che la disciplinasse. E, difatti, i giudici amministrativi si sono espressi sulle eccezioni di non conformità alla legislazione vigente e contrasto con i principi costituzionali in materia di proprietà e di legalità dell’azione amministrativa, non rinvenendo allo stato attuale alcuna disciplina, di fonte legislativa, che autorizzi una riserva di proprietà fondiaria alla mano pubblica in assenza di specifica normativa primaria e al di fuori delle garanzie previste dall’art. 42 della Costituzione.
Invero, è stato affermato che lo strumento della perequazione, «sebbene non contemplato a livello di legislazione nazionale, è stato progressivamente introdotto dalle legislazioni regionali cui è affidata la disciplina del territorio e persegue l’obiettivo di eliminare le disuguaglianze create dalla funzione pianificatoria, in particolare dalla zonizzazione e dalla localizzazione diretta degli standards, quanto meno all’interno di ambiti di trasformazione, creando le condizioni necessarie per agevolare l’accordo fra i privati proprietari delle aree incluse in essi e promuovere l’iniziativa privata» (cfr. TAR Veneto, Venezia, sez. I, 19 maggio 2009, n. 1504; 10 gennaio 2011, n. 11).
Il delineato regime perequativo si regge – come evidenziato dal Consiglio di Stato, nella cit. sentenza n. 4545/2010 – «su due pilastri fondamentali e immanenti all’ordinamento: a) da un lato, il potere conformativo del territorio di cui l’amministrazione è titolare nell’esercizio della propria attività pianificatoria; b) d’altro lato, la possibilità di ricorrere a modelli privatistici e consensuali per il perseguimento di finalità di pubblico interesse». Il potere conformativo costituisce espressione della funzione amministrativa di governo del territorio, alla quale è connaturata la facoltà di porre condizioni e limiti al godimento del diritto di proprietà non di singoli individui, ma di intere categorie e tipologie di immobili identificati in termini generali e astratti. Il ricorso a moduli convenzionali attraverso cui realizzare gli obiettivi di perequazione urbanistica non è, poi, estraneo all’esperienza pianificatoria del nostro ordinamento (basti rammentare le convenzioni di lottizzazione) ed è anche rinvenibile negli accordi sostitutivi dell’espropriazione di cui all’art. 45 del d.p.r. n. 327/2001, che costituiscono proprio una applicazione alla particolare materia dell’ablazione della proprietà privata per la realizzazione di opere pubbliche, del generale principio dell’utilizzabilità di modelli negoziali per il perseguimento di scopi di pubblico interesse.
Più in generale, costituisce un principio giurisprudenziale oramai consolidatosi, quello secondo cui la base normativa della previsione degli strumenti consensuali per il perseguimento di finalità perequative va individuata nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 bis, e 11 della l. n. 241/1990. Ed invero, il legislatore con tali disposizioni ha optato per una piena e assoluta fungibilità dello strumento consensuale rispetto a quello autoritativo, sul presupposto della maggiore idoneità del primo al perseguimento degli obiettivi di pubblico interesse.
Essendo, così, venuta meno la previgente riserva alla legge dei casi in cui alle amministrazioni è consentito ricorrere ad accordi in sostituzione di provvedimenti autoritativi, tale possibilità deve ritenersi sempre e comunque sussistente (salvi i casi di espresso divieto normativo); col che non è stato affatto introdotto il principio della atipicità degli strumenti consensuali in contrapposizione a quello di tipicità e nominatività dei provvedimenti, in quanto lo strumento convenzionale deve pur sempre prendere il posto di un provvedimento autoritativo individuato fra quelli tipici disciplinati dalla legge: a garanzia del rispetto di tale limite, l’art. 11 cit. prevede l’obbligo di una previa determinazione amministrativa che anticipi e legittimi il ricorso allo strumento dell’accordo.
Nel caso sottoposto alla cognizione del giudice, l’amministrazione resistente aveva predeterminato le condizioni alle quali avrebbero potuto attivarsi i meccanismi convenzionali di cui alla L. 241/90 (solo se e quando i proprietari interessati avessero ritenuto di avvalersi degli incentivi connessi, e, cioè, di fruire della capacità edificatoria attribuita alla c.d. “superficie integrata”; ove ciò non fosse avvenuto, il Comune interessato alla realizzazione di attrezzature pubbliche, avrebbe dovuto attivarsi con gli strumenti tradizionali all’uopo predisposti dall’ordinamento, e cioè, in primis, con le procedure espropriative, previa localizzazione delle aree su cui operare gli interventi e formale imposizione di vincoli preordinati all’esproprio con apposita variante urbanistica).
Da quanto sopra emerge, dunque, come le prescrizioni urbanistiche de quibus – secondo il giudice amministrativo – trovino «il proprio fondamento in principi ben radicati nel nostro ordinamento, con riguardo, da un lato, al potere pianificatorio e di governo del territorio e, dall’altro, alla facoltà di stipulare accordi sostitutivi di provvedimenti».
In armonia con tali presupposti, la circostanza che si tratti di principi radicati nella legislazione nazionale consente di elidere in radice la lamentata lesione delle prerogative statali in materia: è evidente, infatti, che in tale panorama, anche in assenza di specifiche previsioni, la perequazione rimane rispettosa dei limiti imposti in materia di governo del territorio, dalla legislazione statale, sia esclusiva sia concorrente, alla potestà normativa delle regioni e dei comuni ex art. 117.
Tuttavia, proprio il Supremo Consesso della Giustizia amministrativa ha avuto modo di sottolineare a penna rossa come si ravvisi, comunque, «l’opportunità che lo Stato intervenga a disciplinare in maniera chiara ed esaustiva la perequazione urbanistica, nell’ambito di una legge generale sul governo del territorio, la cui adozione sarebbe auspicabile alla luce dell’inadeguatezza della normativa pregressa a fronte delle profonde innovazioni conosciute negli ultimi decenni dal diritto amministrativo e da quello urbanistico».
Malgrado tale auspicio, la perdurante assenza dell’intervento legislativo statale non può impedire, da un lato, «che le regioni esercitino la propria potestà legislativa in materia nel rispetto dei principi generali della legislazione statale» e, d’altro lato, «che tali principi vadano individuati sulla base del quadro normativo attuale, quale risultante dal complesso della legislazione urbanistica stratificatasi sul ceppo dell’originaria l. n. 1150/1942 e dell’applicazione fattane dalla giurisprudenza (anche costituzionale)»: è in questo modo che può pervenirsi alla conclusione secondo cui tutte le specifiche disposizioni, le quali, di volta in volta e per singoli profili, potrebbero venire intese quali “copertura” legislativa dei controversi istituti perequativi, costituiscono, in realtà, espressione dei principi generali richiamati.
In conclusione, il Consiglio di Stato ha ritenuto di rinvenire la copertura “normativa” dell’istituto della perequazione nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 bis e 11 della L. 241/90 ss.mm., ossia nella possibilità di ricorrere agli strumenti convenzionali per il perseguimento delle finalità perequative.
Diversamente opinando, la latitanza del legislatore determinerebbe guasti notevoli in un ambito così delicato, se si pone mente al fatto che, dopo la legge 1150/1942 (la quale, seppur in maniera innovativa per l’epoca, ha disciplinato la materia in generale), l’unico intervento riformatore varato è rappresentato dalla cosiddetta legge-ponte, la L. n. 765/1967 (che, pur introducendo alcuni istituti quali lo standard e lo zoning, non costituisce una disciplina organica della materia).
Visto l’ampio spazio temporale trascorso e visti i mutamenti sociali, economici, territoriali, si comprende perché sia molto sentita l’esigenza di una nuova legge urbanistica nazionale.
Come si è anticipato in precedenza, numerosi sono stati i vari tentativi di riforma, che non hanno avuto esito positivo. Tuttavia, anche precedentemente agli ultimi approdi giurisprudenziali in materia di strumenti convenzionali legittimanti, il legislatore nazionale – pur astenendosi dall’articolare una disciplina esatta – ha (espressamente) evidenziato l’istituto dei diritti edificatori, ancorché “sparsi” in diversi provvedimenti legislativi, ove quindi è possibile rinvenire i prodromi legittimanti.
Le sopracitate leggi, attraverso l’espresso riferimento alla nozione di diritto edificatorio, avevano indotto la dottrina ad interrogarsi se tali interventi potevano costituire il fondamento a livello statale dei concetti di perequazione, compensazione e premialità, concludendo per la soluzione negativa, in quanto trattasi di interventi estemporanei e contingenti.
Con riguardo alle Regioni che non hanno disciplinato la materia, dunque, inizia a profilarsi una generalizzata ammissibilità delle tecniche perequative anche in assenza di un’espressa normativa. E ciò perché le finalità distributive della perequazione sembrano caratterizzare anche istituti già noti, quali il comparto edificatorio di cui all’art. 23, L. n. 1150/1942, il piano di recupero di cui alla L. 457/1978, ed il sistema delle lottizzazioni convenzionate ex art. 28 legge n. 765/1967, «istituti che si basano sul principio secondo il quale chi si giova di una previsione urbanistica favorevole, ritraendone un certo incremento di valore, può legittimamente essere chiamato a sopportare, con una parte di quell’incremento, i costi delle opere di urbanizzazione e più in generale della sistemazione urbanistica, purché si tratti di opere e di interventi la cui utilità pubblica trascende i confini della sua proprietà».
Per completezza è necessario dare atto di un orientamento contrario, sebbene abbastanza isolato, per il quale la possibilità di perequare «non può essere affatto considerata implicita al sistema e la sua compatibilità con la legislazione vigente va preliminarmente dimostrata».
Recentemente, di fronte a legittimazioni di natura giurisprudenziale, sempre subordinate ad oscillazioni e mutamenti, è intervenuto in emergenza il legislatore.
In tal senso può essere letto il recente “decreto sviluppo” n. 70 del 2011, convertito con L. 12 luglio 2011, n. 106, che consente una minimale “copertura” normativa di livello nazionale alla perequazione. 
Non si tratta di quel «quadro di regole completo», auspicato dal Consiglio di Stato nelle sue recenti pronunce, bensì pare più come un soccorso d’urgenza, al fine di garantire certezza alla circolazione “aerea” dei diritti edificatori.
La coordinatrice del Comitato
Rosanna Carpentieri

domenica 14 dicembre 2014

Alcuni semplici provvedimenti per arginare la corruzione nella Pubblica Amministrazione

Come preambolo riporto un mio articolo scritto in data 14-02-2010, quanto mai attuale, che trovasi anche su questo sito (Clicca QUI per rileggerlo)
“In questa breve sintesi sulla corruzione cerchiamo di individuarne le cause e di chiarire prima di tutto come si concretizza il reato di Corruzione, (artt. 318-322 C.P.) perché questo istituto viene spesso citato a sproposito e confuso con la concussione.
CORRUZIONE L’art. 318 del Codice Penale recita testualmente che:” Il pubblico ufficiale, che, per compiere un atto del suo ufficio, riceve, per sé o per un terzo, in denaro o altra utilità, una retribuzione che non gli è dovuta, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Se il pubblico ufficiale riceve la retribuzione per un atto d’ufficio da lui già compiuto, la pena è della reclusione fino a un anno.”
CONCUSSIONE Leggiamo ora l’art.317 del C. P. “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni.”
Che differenza c’è fra Corruzione e Concussione ? Domanda che molti mi hanno posto inviandomi numerose mail alle quali mi è difficile poter rispondere per questioni di tempo. Preferisco rispondere quì a tutti i lettori.
Chiaramente risponderò, in linea generale, senza scendere nei numerosi casi in cui queste differenze possono verificarsi nei rapporti tra semplici cittadini e pubblici ufficiali. In buona sostanza la differenza riguarda la posizione che il privato ed il pubblico ufficiale assumono nel reciproco rapporto.
Seguiamo ciò che dice la Cass. pen., Sez.VI, 19/10/2001, n.1170:
“ Il criterio per distinguere la concussione dalla corruzione propria è quello del rapporto tra le volontà dei soggetti. In particolare nella corruzione esso è paritario e implica la libera convergenza delle medesime verso un comune obiettivo illecito ai danni della p.a.; mentre nella concussione il pubblico agente esprime una volontà costrittiva o induttiva che condiziona il libero esplicarsi di quella del privato, il quale, per evitare maggiori pregiudizi, deve sottostare alle ingiuste pretese del primo. Elemento necessariamente comune alle due figure è l’esistenza di una indebita erogazione del privato al pubblico agente. Elemento eventualmente comune (e necessario solo nella corruzione propria) è un esercizio antigiuridico dei propri compiti da parte del pubblico agente. Elemento, infine, discriminante tra le due figure è la presenza, nella concussione (e l’assenza, nella corruzione), di una volontà prevaricatrice e condizionante da parte del pubblico agente. Ne consegue che, in presenza dei primi due elementi – il mancato accertamento del terzo conduce necessariamente, ad escludere che il fatto oggetto di valutazione possa essere considerato come concussione.”
In buona sostanza mentre nella CORRUZIONE vi è un accordo fra un pubblico funzionario ed un privato, in forza del quale il primo accetta dal secondo, per un atto relativo all’esercizio delle sue attribuzioni, un compenso che non gli è dovuto. Quindi i soggetti trattano pariteticamente con manifestazioni di volontà convergenti sull’atto illecito da compiere. Nella CONCUSSIONE – che è reato monosoggettivo – invece, il pubblico ufficiale, è il dominus (padrone) della situazione illecita , il quale, abusando della sua qualità o del suo potere, costringe con la minaccia e induce con la frode un privato a sottostare all’indebita richiesta, mettendolo in una situazione che non offre ulteriori alternative.
Sia nella corruzione che nella concussione uno dei soggetti in causa deve avere la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio perché questi reati possano concretizzarsi.
Vediamo che significa pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio
NOZIONE DI PUBBLICO UFFICIALE
L’art. 357 del codice penale così definisce il pubblico ufficiale :
“Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa.
Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzati dalla formazione o dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o dal suo svolgersi per mezzo dei poteri autoritativi o certificativi.”
L’Art. 358 del C.p. definisce la nozione di INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO
Così recita: “Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio, coloro i quali a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio.
Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.”
OGGETTO dei reati
Oggetto materiale della condotta è “il denaro o altra utilità”.
Nel termine utilità va inteso tutto ciò che rappresenta un vantaggio per la persona, materiale e morale, patrimoniale e non, consistente tanto in un dare , quanto in un facere, e ritenuto rilevante alla consuetudine comune ( Cass. Sez. Un., 11-5-1993).
Non rientrano nel concetto di altra utilità le cd. Regalie e, in genere i donativi di pura cortesia quando, in ragione della loro manifesta sproporzione rispetto all’atto del pubblico ufficiale, cui sono destinati, siano del tutto inidonei ad assumere valore e significato di retribuzione, posto che nel concetto di retribuzione è sempre insita una idea di adeguatezza e di corrispettività ( Cass. VI, 3-11-1998).
A grandi linee abbiamo cercato di chiarire al lettore, in parole semplici, la differenza fra i due tipi di reati contro la pubblica amministrazione.
Cerchiamo ora di individuare le cause che hanno determinato e determinano il fiorire e rifiorire di questi odiosi delitti. La pubblica Amministrazione dovrebbe agire sempre per il bene dei cittadini. Per fare ciò lo Stato si avvale dei propri funzionari (pubblici ufficiali, incaricati di un pubblico servizio, dipendenti statali, parastatali, dirigenti ecc.) che altro non sono che i cd. “dipendenti pubblici” Non sempre questi ultimi sono persone oneste e rispettose delle leggi. Molte volte per ottenere danaro o altre utilità corrompono o vengono corrotti da terzi estranei all’Amministrazione.
Si concretizzano allora i cd. “reati” che abbiamo sopra descritto. Perché accade questo? Fondamentalmente per i seguenti motivi: a) disonestà innata di alcuni funzionari dello Stato; b) malcostume diffuso nella P.A. 3) imposizione mafiosa. Quale il rimedio? Purtroppo si può fare ben poco per arginare questa piaga. Un immediato provvedimento sarebbe quello di interdire, in via definitiva, i corruttori, dai pubblici uffici in aggiunta alle pene previste dal Codice penale. Ma non è quasi mai accaduto – a memoria di uomo – che chi si rende colpevole di questi reati sia stato licenziato dal posto di lavoro. C’è sempre stato il politico di turno che gli ha lanciato la ciambella di salvataggio. E la storia si ripete. Come il cd. Cane che si morde la coda. Ricordate il periodo di Tangentopoli o Mani pulite! Ricordate quanta gente è stata processata proprio per questi tipi di reati? A distanza di tempo il fenomeno si è ripresentato (semmai fosse finito!) più rigoglioso di prima. Leggetevi a pag. 3 del “Fatto Quotidiano” del 13 febbraio 2010 l’articolo intitolato: “Un anno di corruzione nello Stivale” troverete oltre venti tipi di reati di questa tipologia (Corruzione e Concussione) disseminati in tutte le Regioni d’Italia. Sembra proprio che sia un reato di moda! A volte essere stato processato per corruzione o concussione sembra proprio costituire un titolo di merito! Ahimè! Come ci siamo ridotti! Ed il dramma è che non si intravede rimedio alcuno! (Tratto dal mio articolo “Il reato di moda: la corruzione”)”
Una volta chiariti al lettore i concetti di corruzione e concussione, passiamo alla terapia:
Dal momento che la corruzione in Italia ormai si è istituzionalizzata sia nella pubblica amministrazione (Stato) sia negli Enti locali, (Comuni, Province, Regioni, AST) occorre intervenire urgentemente e con mano ferma e pesante, a porre un rimedio. Quali provvedimenti adottare? Secondo Noi per assestare un duro colpo alla corruzione è necessario:1) sospendere immediatamente dal servizio e, successivamente licenziare, chi corrompe o concute nella PA, non appena arriva l’avviso di garanzia; 2) Confiscare immediatamente i patrimoni; 3) rendere obbligatoria la partecipazione di un Magistrato nelle gare per la fornitura di beni e servizi nella PA, in qualità di Presidente; 4) Corresponsabilizzare i politici con i dirigenti del settore, nelle gare, in modo che vi sia responsabilità condivisa; 5) Eliminare, la prescrizione ed il patteggiamento per questi tipi di reato.
Procedere, infine,  mediante Decreto Legge e non con un Disegno di legge, come in atto, sta facendo il Governo. Questo non va bene! Adottare un disegno di legge significa non solo allungare notevolmente il tempo di intervento, ma, accontentare, chi, con questi reati ci marcia da una vita. Sarebbero già sufficienti di per se, a mio avviso, questi semplici interventi per assestare una sonora bastonata ai corrotti e corruttori.
di Fernando Cannizzaro

Mattanza di tigli storici e mattanza di...democrazia e partecipazione ! Faremo causa per danno biologico al patrimonio verde !

 "Anche se mi avete mutilato e ferito io conosco il cielo...e sono testimone muto, indifeso ma maestoso delle vostre meschinità." Il tiglio

Vorrei segnalare che la Soprintendenza di Bergamo, in collaborazione con il CFS, ha avviato la prima causa milionaria per danno biologico al patrimonio verde (nel caso di specie, privato. Qualora esso sia pubblico e cioè un bene comune di tutti, ciò costituirebbe un'aggravante di non poco conto!)
IL FATTO:
Cinquecento (500) tigli e ippocastani secolari del santuario ottocentesco di Caravaggio, distrutti questo inverno dall’ignoranza di un gruppo di pensionati incaricati delle potature, sono sottoposti ora ad una perizia individuale per la determinazione del danno biologico subito.
Gli esemplari, dell’età di 90-120 anni e dell’altezza di 20-25 m, sono ora ridotti a monconi alti 5-6m.
A prima vista il danno biologico varia da 2500 a 3500 euro/albero per un totale complessivo di circa 1,5 milioni di euro…non si sa a carico di chi:
a carico del Santuario per negligenza nella custodia di verde sotto vincolo monumentale,
a carico dei sei pensionati per lesioni dolose e colpose,
a carico del Comune per inosservanza nei doveri di vigilanza.
I 6 pensionati, dopo qualche giorno di bestemmie in dialetto bergamasco, sono ora in ritiro spirituale nel santuario e bevono acqua santa dalla mattina alla sera.
LA MATTANZA DI TIGLI STORICI A SAN GIORGIO DEL SANNIO
E' rimasta finora impunita, circondata da una coltre di punti interrogativi cui l'Ente si sottrae dal rispondere, e, - cosa più grave e aberrante - ha avuto dei risvolti giudiziari in danno di chi ha sporto formale denuncia di quanto commesso dall'amministrazione.

MA NON DEMORDEREMO !

IL DANNO BIOLOGICO AI TIGLI SECOLARI DI VIA DEI SANNITI E DI VIALE SPINELLI E' APPUNTO QUANTO IL COMITATO CITTADINI PER LA TRASPARENZA E LA DEMOCRAZIA RICHIEDERA' AL SINDACO RICCI E AL COMUNE DI SAN GIORGIO DEL SANNIO !
E non finisce qui.
Perchè l'ente comunale dopo la mattanza dei tigli voluti da Napoleone Bonaparte e non segnalati e protetti dall'Ente come storici e monumentali (legge n.10/2013) ha pensato, ancora una volta malissimo, di ABBATTERE addirittura gli alberi del Palazzetto dello Sport! 
E intanto la Procura beneventana indaga su chi denuncia! 

Ma non è legittimo chiedersi quali siano le motivazioni che hanno spinto a tale scempio con costi diretti a carico della comunità e che fine abbia fatto la legna? Chi se ne è appropriato? O a chi è stata assegnata e in base a quali criteri?

Una cosa è certa: le lamentele "querulanti" del sindaco che fa un abuso strumentale della denuncia per diffamazione (TUTTA DA DIMOSTRARE!)  per imbavagliare il dissenso e le più che legittime critiche alle scelte perverse dell'amministrazione (così come l'indignazione e i mugugni dei cittadini...) non servono. 
Esiste una procedura tecnica per la determinazione del DANNO BIOLOGICO. E la si applica negli incidenti come PURE nelle LESIONI VOLONTARIE su uomo, ANIMALI E ALBERI ! 

Non a caso, come comitato civico,nella scorsa tarda primavera e cioè nell'immediatezza dei fatti criminosi, abbiamo fatto denuncia anche a mezzo stampa (dato l'interesse e la rilevanza PUBBLICA) al Corpo Forestale dello Stato e direttamente alla Procura (inviando alle autorità competenti un corposo e orripilante dossier fotografico). 
Purtroppo, nella nostra ristretta realtà provincialotta e limitante, la Forestale non ha espletato -per quanto ci risulta - le indagini richieste non ravvisando nessuna violazione di legge (sic!), mentre la Procura di Benevento, attraverso l'opera diretta dell'esimio procuratore capo dott. Giuseppe Maddalena, non ha trovato nulla di meglio da fare che  sottoporre la denunciante (la coordinatrice del comitato, denunciante e scrivente in nome e per conto di tale associazione spontanea di cittadini) a ben 9 mesi di indagine per aver leso la reputazione del sindaco Ricci.... (SIC!).

Incredibile, ma VERO!

In conclusione vorrei riportare quanto risponderebbe al sindaco Ricci, senza troppi peli sulla lingua, Ermanno Casasco, professionista di fama internazionale e autore del libro Giardiniere errante: 
«A New York nevica più che a Milano, ma agli alberi di Central Park o al Village vengono portati via solo i rami più bassi o che sporgono troppo». 
Mai sottovalutare le potature, ricorda poi: «Un mio maestro diceva sempre che da lì si capisce se l’amministrazione di una città è corrotta o no…».

Rosanna Carpentieri
per il Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia di San Giorgio del Sannio (BN)

Fonte:https://infosannio.wordpress.com/2014/12/13/san-giorgio-del-sannio-bn-rosanna-carpentieri-mattanza-di-tigli-storici-e-mattanza-di-democrazia-e-partecipazione-faremo-causa-per-danno-biologico-al-patrimonio-verde/

Si legga anche:

Valore Degli Alberi.Stima del danno Biologico per lesioni volontarie ad Alberi








INFORMAZIONE SULL'INFORMAZIONE LOCALE:

http://www.agoranewsonline.com/1/cronaca_3397585.html

venerdì 5 dicembre 2014

Cartelle pazze GOSAF.Intervenga il prefetto, il Comune di San Giorgio del Sannio è da sanzionare. Lo richiedono a gran voce i cittadini !

L'antefatto
Dalla padella alla brace, ovvero da Equitalia a Gosaf s.p.a.


Via da Equitalia: ecco i Comuni che hanno lasciato l’esattore nazionale

Il capoluogo e altri sei centri sanniti si sono rivolti alla caudina Gosaf


 – Lasciare Equitalia. Un must per molti enti locali che, probabilmente sull’onda di una virulenta campagna mediatica di contestazione, si adoperano per non servirsi più della società nazionale di riscossione dei tributi non pagati.
L’ultimo episodio in ordine di tempo riguarda uno dei principali paesi della provincia, San Giorgio del Sannio, dove il Consiglio comunale, su proposta della maggioranza, ha deliberato per la conclusione della collaborazione con Equitalia. Il consesso sangiorgese pare aver anche individuato già il successore dell’esattore per antonomasia. La scelta dovrebbe ricadere sulla «Gosaf spa», società nata proprio nel Sannio con sedi a Montesarchio e Sant’Agata de’ Goti. La Gosaf si è aggiudicata nella scorsa estate l’ammissione al bando per la fornitura dei servizi di riscossione forniti a prezzo calmierato attraverso l’Asmel, consorzio di enti locali che raggruppa migliaia di comuni in Italia. E proprio l’adesione all’Asmel recentemente varata dal Consiglio comunale di San Giorgio del Sannio lascia chiaramente trasparire la volontà dell’ente di avvalersi dei servizi di Gosaf.
L’importante Comune dell’hinterland cittadino, del resto, non è il primo nel Sannio a percorrere la stessa strada. 
L’approvazione del Decreto Sviluppo nel 2011 ha sancito l’obbligo per i Comuni di non rivolgersi più ad Equitalia per i servizi di recupero coattivo dei tributi. Un provvedimento nato, come dicevamo, sull’onda della cattiva nomea conquistata, più o meno a ragione, dall’agenzia di riscossione partecipata dall’Agenzia delle Entrate e dall’Inps. 
Ma l’applicazione della norma nata «a furor di popolo» si è rivelata più difficoltosa di quanto non si immaginasse. Molti enti infatti non sono ancora pronti al subentro di altri soggetti o alla gestione diretta dei servizi di recupero e così il Governo ha rinviato più e più volte l’entrata in vigore della norma. Adesso la scadenza è fissata al 1 gennaio 2015 ma non si possono escludere nuovi rinvii dati i precedenti.
Un contesto che ha portato molti enti a non considerare prioritaria la questione. 
Ciò malgrado non sono pochi nel Sannio i Comuni che hanno abbandonato Equitalia per passare con la società di riscossione caudina. 
Su tutti il Comune capoluogo, Benevento, che da qualche anno ha affidato alla Gosaf la riscossione coattiva e le imposte di pubblicità e affissione. Servizi in continuità con quelli assegnati ai precedenti gestori, ma ci si augura che l’esito sia differente alla luce di quanto accaduto con «Digep» e «Tributi Italia». 
Tra i Comuni che si avvalgono della Gosaf ci sono anche San Leucio del Sannio e Paolisi che sono coperti integralmente dalla società mentre per Durazzano si tratta di un affidamento parziale. 
Nell’ultimo anno hanno aderito altri tre municipi sanniti: Sant’Agata de’ GotiArpaiaPannarano. Non c’è stato dunque l’esodo di massa che la disposizione normativa lasciava immaginare ma un flusso costante di abbandoni per Equitalia. 
Con il gestore sannita, che complessivamente vanta 49 contratti con enti locali, sono passati anche i comuni avellinesi di Monteforte Irpino e Parolise. Molto numerosa anche la pattuglia casertana con, per fare alcuni esempi, San Prisco, Carinaro, Casapulla, Dragoni. Non mancano enti della provincia di Salerno (Fisciano, Caggiano) e di altre regioni. 

«Se i termini normativi fossero stati perentori – commentano dalla Gosaf – probabilmente avremmo avuto ancora più adesioni. Ma si tratta comunque di un numero considerevole».

LA GOSAF s.p.a. AL CENTRO DI UNA IMPORTANTE INCHIESTA GIUDIZIARIA

Da Sannio Informa del 21 ottobre 2014

E' durato più di un'ora l'interrogatorio di Vincenzo Piccoli, l'80enne proprietario della Gosaf spa, finito agli arresti domiciliari con l'accusa di peculato. Ieri l'imprenditore è stato ascoltato dal gip Palmieri, al Tribunale di Benevento e, difeso dai suoi legali D'Auria e Abbate, ha respinto tutte le accuse sostenendo di non essersi mai appropriato di somme di denaro in modo irregolare. Ora la parola passerà al Tribunale del Riesame di Napoli visto che i legali di Piccoli hanno chiesto la scarcerazione dai domiciliari per il loro assistito. Il provvedimento nei confronti del numero uno della società di riscossione che ha sede nel Sannio, è scattato lo scorso venerdì, eseguito dalle Fiamme Gialle di Caserta: Piccoli, residente a S.Agata de' Goti, è indagato per peculato: in precedenza i finanzieri avevano sequestrato preventivamente alla Gosaf, somme di denaro e beni per oltre un milione di euro, emessi dal locale Ufficio del giudice per le indagini preliminari.
Le indagini condotte dai finanzieri casertani sono proseguite considerato anche che la Gosaf effettua il servizio di riscossione per oltre 50 comuni italiani (molti di questi nel beneventano) tra Campania, Lazio, Molise, Basilicata e Calabria. 
Una vicenda che entrò nel vivo già nello scorso luglio, quando le Fiamme Gialle eseguirono un sequestro preventivo di circa 800mila euro nei confronti della Gosaf e dei suoi amministratori accusati di essersi appropriati indebitamente di una consistente parte delle somme riscosse per conto di alcuni comuni della provincia di Caserta (Arienzo, Francolise, Pietravairano e San Marcellino), per i quali la società svolgeva il servizio di riscossione dei tributi locali relativi alla Tarsu ed alla Tia, non versandole, come previsto dalla normativa regionale di settore, alla Provincia. 
Secondo gli inquirenti, le operazioni di riversamento all'Ente titolare delle somme incassate, erano utilizzate con conti correnti diversi da quelli serventi alla riscossione dei tributi citati. 
In questo modo l'amministratore ed il procuratore societario, secondo l'accusa, avevano potuto utilizzare le somme in maniera impropria versandole successivamente su conti correnti svincolati da qualsiasi controllo dei Comuni. "Dai controlli è emerso che la società di riscossione, nella persona di Piccoli, in qualità di tesoriere del Comune di Paolisi (Benevento), aveva disposto, dal conto corrente comunale su cui aveva delega ad operare, l'emissione di assegni circolari e di bonifici, per complessivi 1.053.414,01 euro, a favore della stessa Gosaf, senza alcuna giustificazione o causale, utilizzando un mutuo concesso dalla Cassa Depositi e Prestiti nell'ambito del "decreto sblocca debiti" (dl 35/2013) - per un'anticipazione di liquidità per il pagamento di debiti verso terzi. Peraltro, sul relativo ordinativo di incasso, veniva impropriamente indicata la destinazione "libera" di tali fondi che, in realtà, hanno una natura vincolata e dovevano servire al Comune per pagare i debiti certi, liquidi ed esigibili maturati fino al 31 dicembre 2012. In tale maniera, è stato possibile sottrarli alle casse dell'Ente per essere indebitamente accreditati sul conto corrente della società di riscossione e destinati ad altre finalità. 
Tra le varie operazioni rilevate sul conto corrente di tesoreria del comune sannita, l'emissione di assegni circolari, sempre a favore della Gosaf, per un importo complessivo pari a 207.200 euro, che, solo grazie all'immediato intervento dei finanzieri, venivano prontamente annullate mediante il sequestro dei titoli. 
Tenuto conto che le condotte appropriative sono reiterate e sono state poste in essere da parte di Piccoli mediante la società di riscossione e che, attraverso quest'ultima, l'indagato continuava ad avere la disponibilità di ingenti somme di denaro per conto di vari enti pubblici, il gip di Benevento ne ha disposto l'arresto ed ha ordinato il contestuale sequestro preventivo di tutti i beni aziendali, mobili ed immobili, materiali ed immateriali organizzati per l'esercizio dell'impresa e delle quote societarie, nonché del profitto del reato di peculato ai danni del Comune di Paolisi pari ad 1.053.414,01 euro. Per non pregiudicare ulteriormente la prosecuzione dell'attività aziendale, è stato nominato un amministratore giudiziario".
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Il presunto "malaffare" della Gosaf s.p.a. gestita sorprendentemente da un ottantenne riguarda anche il Comune di San Giorgio del Sannio.
Recentissima la notizia concernenti le "cartelle pazze" emesse dalla società di riscossione inquisita, per cui i cittadini - a prescindere dalle responsabilità della Gosaf, difesa a priori dal sindaco Ricci - chiedono a gran voce l'intervento del Prefetto e che il Comune di San Giorgio venga a norma di legge SANZIONATO ! 
Evidente, infatti, nella vicenda de qua la corresponsabilità dell'Ufficio Tecnico del Comune di San Giorgio del Sannio nel non aver coadiuvato e supportato l'Ufficio Tributi dello stesso Comune.
Desta comunque grande stupore e perplessità la "difesa d'ufficio" della Gosaf s.p.a. da parte del sindaco Claudio Ricci che risponde alle inchieste della Magistratura e alle preoccupazioni della opposizione consiliare con un "comunicato stampa" di tale tenore.


Come faccia il sindaco di San Giorgio del Sannio a sostenere: 
"Al momento per quanto è dato sapere la Gosaf è vittima e non protagonista di reati." -in tutta onestà - NON CI E' CONCESSO DI SAPERE !!!

Fatto sta che nella cittadina del Medio Calore la Gosaf s.p.a. è al centro di un'altra vergognosa vicenda: a tantissimi cittadini sarebbero state recapitate cartelle esattoriali, a dir poco, "pazze".


Da Ottopagine di oggi 05 dicembre 2014

“Cartelle pazze”, in fila per ore

In coda per pagare le bollette della Gosaf presso la casa municipale

Articolo di 


In coda dalle prime ore del mattino per pagare le “bollette pazze” della Gosaf: è quello che succede al comune di San Giorgio del Sannio dove ieri una lunga fila di cittadini si è incanalata davanti alla porta dell’ufficio tributi per avere chiarimenti sulle cartelle esattoriali della tarsu, la tassa sui rifiuti, che sta facendo penare molti contribuenti di San Giorgio del Sannio. 
La vicenda è nota: case, garage e capannoni registrati al catasto ma su cui, fino ad ora, la tassa sull’immondizia era stata pagata in base ad una semplice autocertificazione. 
Poi da novembre 2014 si è scoperto, improvvisamente che c’era una discrepanza fra la superfice imponibile e le somme pagate (proprio, n.d.r.) per la tassa sui rifiuti. 

Da qui la serie di accertamenti e cartelle esattoriali esorbitanti che si stanno abbattendo, in questi giorni, su molti cittadini di San Giorgio del Sannio. 
Nonostante la disponibilità, espressa durante il consiglio comunale dallo stesso assessore alle finanze e ai tributi, Felice Barricella a «trovare una soluzione in accordo coi contribuenti», il caso sembra tutt’altro che risolto: 
«Le più colpite sono le zone agricole situate fuori dal centro cittadino, come Cesine» – spiega un contribuente esasperato dalla situazione -«Per anni tanti garage, adibiti a depositi agricoli, come quelli di cui sono proprietario, non hanno mai pagato la tassa sull’immondizia basandosi su un’autocertificazione che non sapevamo neanche di dover presentare e, spesso, non abbiamo prodotto. 
Ora improvvisamente ci vengono chiesti gli arretrati dal 2009 . A me è arrivata un conto di 1.400 euro, al mio vicino addirittura di 1.600 euro e ad un altro 1.000 euro». 
Soprattutto nelle campagne, spiega l’uomo, per anni si sono costruiti e accatastati garage «per usarli come depositi agricoli ed ora ci si ritrova con queste “cartelle pazze” della Gosaf». 
La Gosaf è la società esterna a cui è stato affidato il compito di riscuotere i tributi, società da tempo al centro di un’inchiesta giudiziaria della procura di Benevento. 
«Ho accatastato i garage nel 2009»- spiega l’uomo «e nessuno mi ha detto nulla per sei anni e poi, all’improvviso, mi arriva questa stangata. 
Io voglio pagare il giusto ma la situazione doveva essere gestita meglio. 
Si sarebbe potuto risolvere la vicenda usando del personale interno al Comune, che è certamente disponibile, e soprattutto mediante un coordinamento fra ufficio tecnico ed ufficio tributi che in realtà non c’è stato affatto pur essendo presente, come so per certo, la disponibilità di molti impiegati comunali in tal senso». 
Insomma secondo l’uomo il problema è tutto politico e la gestione poco oculata della faccenda sembra «un modo per far cassa nel momento peggiore per i cittadini che dovranno pagare anche la raccomandata di cinque euro oltre alla mega stangata». 

(Un modo per fare cassa come al solito, oppure una manovra di rientro da "eventuali ammanchi"...in danno della comunità? Ieri l'altro la stampa locale titolava:"Opere pubbliche sospese per mancanza di risorse " !!! n.d.r.

Un errore che non può rimanere senza sanzioni, secondo l’opinione di questo cittadino che aggiunge:« dovrebbe intervenire il Prefetto per sanzionare il Comune che in questa vicenda, è evidente, ha sbagliato grossolanamente». - 

Il Comitato Cittadini per la Trasparenza e la Democrazia chiede l'immediato intervento del Prefetto al quale rivolge istanza affinchè l'Ente sangiorgese sia sanzionato a norma di legge !


Infine, una domanda: perchè il Comune di San Giorgio del Sannio non rescinde il contratto con la Gosaf s.p.a. ?

La coordinatrice del comitato civico

Rosanna Carpentieri


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