Tecnicamente, con la scelta di ammettere la prorogatio di
Mario Monti, Giorgio Napolitano ha fatto la più grande riforma
istituzionale di sempre: ha modificato la Forma di Governo. La crisi del
parlamentarismo (che attanaglia il nostro paese da almeno dieci anni,
come è evidente dalla trasformazione della pratica della decretazione
d'urgenza in iniziativa legislativa preponderante) e l'impossibilità di
formare un nuovo governo per via della fine del bipolarismo, ha creato
le condizioni per cui il Capo dello Stato non è stato in grado di
conferire un nuovo incarico con una base parlamentare certa.
La prorogatio, suggerita a Grillo dal professor Becchi e che inizialmente sembrava una boutade e conteneva (e continua a contenere) in sé medesima evidenti
aspetti di incostituzionalità (il governo presieduto da Mario Monti è
dimissionario, non è mai stato sfiduciato ma ha ricevuto la fiducia dal
Parlamento nella scorsa legislatura e pertanto necessiterebbe di un
passaggio parlamentare, anche solo per affrontare le iniziative
legislative dettate dalle urgenze economiche), sospende il rapporto
fiduciario fra esecutivo e legislativo producendo di fatto le condizioni
proprie di una Repubblica Presidenziale. Infatti, solo nelle
Repubbliche Presidenziali i governi non sono retti dal rapporto
fiduciario e sono diretta emanazione del Presidente (che ad onor del
vero è eletto con forme dirette o semi-dirette). Nel
semipresidenzialismo francese il rapporto di fiducia è addirittura
raddoppiato: il governo riceve il sostegno sia del Presidente, che ne ha
deciso la composizione e ne revoca la nomina, sia del Parlamento, senza
il quale il governo non può insediarsi.
Tutto
ciò accade mentre il Presidente vede ridursi il proprio potere - non
può sciogliere le Camere - in quanto alla fine del suo mandato
(cosiddetto semestre bianco).
Chi
ha un minimo di conoscenza della Storia del Diritto Costituzionale, sa
che queste derive della Costituzione materiale rispetto alla
Costituzione formale sono l'anticamera di modifiche del dettato
costituzionale. Così accadde in Francia, con il passaggio dalla Quarta
alla Quinta Repubblica. De Gaulle approfittò della crisi algerina per
imporre un nuovo governo in cui la figura del Presidente avesse molti
più poteri che in precedenza. Prima venne la pratica del potere, poi
vennero le modifiche costituzionali, infine il referendum popolare, che
era assolutamente strumentale a fornire allo stravolgimento del
parlamentarismo della Quarta Repubblica un quadro di legittimità che non
aveva avuto.
Nel
nostro caso, è fin troppo chiaro che Napolitano ha accettato giocoforza
la soluzione della prorogatio, ma facendolo ha esercitato un potere nei
confronti del Parlamento che costituzionalmente non è prescritto.
Dovesse persistere questo stallo, la via della riforma presidenzialista è
già stata imboccata. E forse si tratta di una strada senza ritorno.
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